Storie di ordinaria burocrazia: Decreto Rilancio un anno dopo


Decreto Rilancio e Start up innovative: un anno dopo

A oltre un anno dalla sua previsione nel Decreto Rilancio (n° 34 del 19 maggio 2020) il Mise-e il Mef hanno emanato il decreto attuativo previsto, che è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 15 Febbraio 2021.
Finalmente al via gli incentivi alle Startup e PMI innovative, previsti nel decreto di allora.
…?
Forse ho fatto confusione con le date, parliamo di una disposizione che ha impiegato quasi un anno prima di entrare in vigore?
Esattamente così.
Infatti avevo commentato la disposizione nel mio articolo Decreto Rilancio rifinanzia Smart Start Italia, pubblicato nel Blog dello Studio Associato MSC quasi un anno fa
 

I soldi che non ci sono più

La cosa più assurda è che le disposizioni ora entrate in vigore fanno riferimento a fondi stanziati nel 2020 e che ora non esistono più, essendo stati dirottati a sostegno delle emergenze Covid.
Una norma finalizzata allo sviluppo delle imprese è stata messa da parte per un anno.
Questa non è una novità.
 

I Ristori di Conte: finanziamenti un po’ per tutti, fuorché alle imprese

La gestione Conte nel 2020 si è caratterizzata per una scelta di campo sistematicamente costruita sui Ristori.
Nulla da dedicare al sostegno e sviluppo delle imprese perché ciò avrebbe voluto dire fare delle scelte che non erano le sue.
La sua era la logica del “finanziamento a pioggia”, un po’a ciascuno per accontentare tutti, per garantirsi un bacino elettorale il più vasto possibile.
Ora è fuori, ma pronto a rientrare alla prossima tornata elettorale: in quel momento incasserà il dividendo che la sua politica gli ha consentito di mettere da parte.
 

Chiudere la porta della stalla quando i buoi sono scappati

Come ho detto in svariate occasioni Conte non aveva né la capacità né la forza politica per imporre scelte rigorose all’interno di un progetto ben definito e quindi ha sempre proceduto a “vista”.
La consapevolezza che le imprese e le industrie fossero il motore dell’intero sistema economico e che loro per prime avrebbero dovuto essere non “Ristorate”, ma ben finanziate a fronte di progetti di sviluppo e riconversione precisi, proprio non faceva e non fa parte del suo modo di vedere e comprendere la realtà del paese.
Ecco allora che tutti i decreti alla cui emanazione erano subordinati interventi di supporto alle imprese, che avessero distolto risorse ai “Ristori”, sono stati messi da parte.
Ora qualcuno ricompare, ahimè fuori tempo massimo.
 

L’illusione di Draghi e gli equilibri impossibili

La fase attuale caratterizzata dal governo Draghi, segnerà una svolta?
Purtroppo lo escludo.
Ho l’impressione che Draghi creda che fare il Presidente del Consiglio sia come fare il Presidente della BCE, che i suoi interlocutori siano cancellerie e capi di governo, che i suoi collaboratori siano quelli ai quali poteva dire cosa fare, senza che questi obbiettassero nulla.
Insomma, crede di poter dettare le regole, senza considerare i due avversari formidabili che ha in Italia: la politica e la burocrazia.
Illusione.
Lui forse non lo sa, ma questi due avversari lo possono ostacolare in ogni modo e infatti, nella formazione del governo, non ha potuto che operare come i suoi predecessori, gestendo equilibri impossibili.
Ha potuto farlo solo perché ha una reputazione indiscutibile, al punto che per le forze politiche era difficile dire di no a un progetto, del tutto indefinito per altro, di uscita dalla crisi economica e pandemica, validato, diciamo così, da una persona di tale spessore.
 

I compromessi della politica

Ecco quindi che forze politiche che avevano giurato tra di loro di non trovarsi mai allo stesso tavolo hanno fatto marcia indietro, perché sarebbe stato troppo impopolare anche per loro manifestare un aperto dissenso rispetto alla partecipazione a un governo, non di unità nazionale, ma deputato ad affrontare una calamità naturale nazionale, devastante sul piano economico e sociale.
 

Politica italiana: la riservatezza non è di questo mondo

Un esempio di come Draghi non abbia compreso in che contesto si trovi a operare emerge da una raccomandazione, condivisibilissima per altro, fatta ai ministri del suo governo, ovvero di essere moderati nelle proprie dichiarazioni, non anticipare il contenuto di manovre ancora non varate, essere, in una parola, riservati.
A Bruxelles certamente una tale raccomandazione sarebbe stata superflua, ma da noi ha del paradossale.
Se anche non parlassero i ministri del governo, lo farebbero e lo fanno al posto loro i sottosegretari, le segreterie dei partiti, i leader politici, tanto più liberi in quanto non direttamente coinvolti nel Governo.
La raccomandazione di Draghi non solo non ha generato il clima di riservatezza che lui si auspicava, ma ha dato la “Licenza di Uccidere” agli 007 dei partiti e movimenti ovvero i loro segretari, capi politici, sostenitori, che portano avanti le solite istanze populiste ed elettorali, come e più di prima.
 

Burocrazia batte buonsenso

Quanto al secondo nemico, la burocrazia, la battaglia è addirittura persa in partenza.
Basti pensare a quanto male abbia esordito il Governo Draghi nella vicenda della chiusura degli impianti sciistici, acclarata a poche ore da una riapertura annunciata da settimane.
Neppure qui vi è stata la consapevolezza che lo sci è una macchina che muove un indotto importantissimo, che gli albergatori avevano raccolto prenotazioni, i ristoratori avevano i magazzini pieni di merci, gli impianti erano stati revisionati, collaudati e messi a punto, il personale, negli alberghi, nei ristoranti, nelle baite e sui campi da sci era stato assunto.
Tutte cose che la burocrazia ignora, ma che una personalità come Draghi avrebbe dovuto ben considerare.
È mancato in questa fase ed è partito malissimo con il suo governo che, a dimostrazione che la politica prevale sempre e non ci si può presentare come una sorta di Giano bifronte - in parte tecnico e in parte politico -, ha dovuto presentare le proprie scuse alle categorie danneggiate.
Assicurando che cosa?
“Ristori”, naturalmente.
O sei un tecnico, e allora con la politica non hai nulla a che fare, o sei un politico che, se vuole però fare “buona politica“, deve praticarla per professione con intelligenza e cultura, nulla che si possa intravedere in capo ai politici nostrani.
 

Il buono di Draghi e la morte annunciata dei “Ristori”

Ma qualche cosa di buono lo avrà pur detto Draghi.
Direi di sì, ma proprio perché si tratta di una cosa giusta avrà l’effetto, nella nostra Italia, di accelerare la caduta di Draghi, il cui Governo avrà vita breve.
 
Draghi ha infatti avuto il coraggio di dire una cosa “politicamente scorretta” ovvero che in questa crisi, per la sua portata e vastità, non si potranno salvare tutti.
Lo sappiamo tutti che un prezzo lo dovremo pagare.
Non parlo delle vittime, (già questo basterebbe), ma della inesorabile scomparsa dell’imprenditoria più fragile, quella che meno ha saputo capitalizzare a suo favore i periodi di vacche grasse, quella che ha puntato sull’erogazione di servizi di bassissima qualità, immaginando che, se questo era bastato in passato, sarebbe bastato anche in futuro.
La politica dei “Ristori” finirà al più presto.
 

Imprenditori si nasce

Ho sempre sostenuto che imprenditori si nasce e difficilmente si diventa.
Ho anche sempre sostenuto che gli imprenditori hanno le tasche vuote, perché ogni risorsa che la loro impresa produce non viene sperperata, ma reinvestita in azienda, per garantirne la prosperità, che significa ricchezza per tutti.
Ricchezza quella vera, quella con la quale generazioni di operai hanno potuto passare da una condizione di miseria a un vivere civile.
 

L’azienda: l’insegnamento di Gino Zappa

Mai come in questo momento va imparata a memoria la definizione di azienda data da Gino Zappa, il più grande economista e accademico Italiano, morto a Venezia nel 1960: “L’azienda è una coordinazione economica in atto (istituto economico) istituita e retta per il soddisfacimento dei bisogni umani ed è destinata a perdurare.”.
Ecco le caratteristiche salienti di un’azienda:
  • essere un istituto economico, ovvero un soggetto che persegue l’utile,
  • condotta per soddisfare i bisogni umani,
  • producendo e vendendo beni, (non certo erogando servizi di infima qualità oppure operando nel mondo della speculazione finanziaria),
  • per garantire il soddisfacimento dei bisogni umani, cioè garantire il benessere di tutti gli uomini,
  • nella quale l’imperativo sia quello di perdurare nel tempo.
 
Solo le imprese oggettivamente riconducibili a tale definizione hanno e avranno il diritto e la chance di sopravvivere, perché il loro ruolo sociale ed economico è tale da renderle, di per se stesse, il motore trainante di indotti vastissimi.
 

Il bene comune. Obiettivo raggiungibile?

Se Draghi volesse rispettare il postulato appena enunciato sarebbe finita la tragica messinscena dei “Ristori” ed entreremmo nella fase della ripresa e della resilienza, che sono esattamente quello che l’Europa pretende dall’Italia per concederle un finanziamento di portata epocale.
Siamo vicini a questo obbiettivo?
Credo di no e questo a prescindere dalle capacità di Draghi.
Perseguire la ripresa e la resilienza vuol dire percorrere un sentiero lastricato di scelte politicamente scorrette, comprendere le priorità da perseguire e individuare chi non può essere salvato; cambiare passo sconfiggendo la burocrazia e piegando la politica al perseguimento del bene comune.
 

Di questi politici siamo responsabili anche noi

La nostra classe politica, da metà dicembre in qua, ha dimostrato la propria assoluta inadeguatezza, ma non basterà Draghi a generare un cambiamento.
È un fatto culturale: è inutile negare le proprie responsabilità.
I nostri governanti li abbiamo votati noi.
Li abbiamo messi noi sui loro scranni e lo abbiamo fatto non andando a votare, o andandoci di malavoglia, disinformati e incapaci di guardare l’Italia per quella che è e per i bisogni che ha; per fare protesta fine a se stessa, non facendo lavorare il cervello, senza pensare che le scelte fatte nel seggio avrebbero finito per condizionare il futuro di tutti, facendo sistematicamente lavorare la pancia e mai la testa.
 

Il senso di un decreto che arriva un anno dopo

Un decreto entrato in vigore un anno dopo la sua previsione legislativa, cosa rappresenta?
Per la lettura della norma in dettaglio rimando all’articolo sopra citato.
 
Il commento che mi sento di fare è che in questo caso assistiamo una volta di più all’indifferenza della politica e della burocrazia verso le esigenze delle imprese.
Tempo sprecato e soldi buttati quando si sarebbero potute avviare nuove iniziative o potenziarne di esistenti, dando un contributo al sistema economico.
Un contributo che non possiamo - a posteriori -, misurare, ma che avrebbe ben potuto essere importante.

 

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© Questo articolo, a firma di Attilio Sartori, è apparso per la prima volta sul Blog LA MOSSA GIUSTA.
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