Tavares si è dimesso.
Era il miglior Amministratore Delegato che gli azionisti della Fiat potessero desiderare e il peggiore per i suoi operai.
Dopo la fusione tra PSA e FCA, nell’ottobre 2019, Tavares è stato nominato, nel 2021, primo Amministratore Delegato di Stellantis, la multinazionale automobilistica nata dall’unione dei due gruppi.
Stellantis ha la sede legale e operativa nei Paesi Bassi e controlla quattordici marchi automobilistici: Abarth, Alfa Romeo, Chrysler, Citroën, Dodge, DS Automobiles, FIAT, Jeep, Lancia, Maserati, Opel, Peugeot, Ram Trucks e Vauxhall.
Sono stati gli azionisti che, in Stellantis come in qualsiasi società esprimono il Consiglio di Amministrazione che opera nel loro interesse, che hanno scelto Tavares identificandolo come colui che meglio di chiunque altro poteva rispondere alla “madre” di tutte le richieste che gli azionisti di qualunque società possono avanzare, che è quella di vedersi riconoscere i dividendi.
Questo era il mandato e Tavares lo ha eseguito nel migliore dei modi erogandone ben 23 miliardi.
A quale prezzo?
Lo ha fatto sottraendo ogni risorsa allo sviluppo industriale, in particolare del gruppo delle imprese Italiane (da Abarth a Alfa Romeo, da Fiat a Lancia e Maserati), di fatto azzerando il comparto “automotive” in Italia, a vantaggio del gruppo riconducibile a Peugeot, che non ha perso la sua forza industriale, viceversa sviluppandola.
Scelte strategiche che hanno fatto la felicità degli azionisti e la disperazione dei dipendenti delle aziende Italiane del gruppo, circa 86.000 lavoratori, e dell’indotto che ne occupa altri 40.000 circa.
La politica ha manifestato uno sdegno di facciata, come era logico da parte di chi non aveva detto nulla in occasione della fusione che ha fatto nascere Stellantis.
Un’operazione allora favorita, malgrado fosse chiaro fin dall’inizio cosa avrebbe comportato in seguito.
Il tutto aggravato dalla crisi del comparto automobilistico con una flessione verticale della domanda in Europa, generata non solo dalla scelta “ideologica” per la conversione alla motorizzazione elettrica, per di più in tempi rapidissimi, ma anche, e soprattutto, per il ribaltamento in Europa della sovraproduzione automobilistica Cinese.
Un Paese, la Cina, nel quale operano oltre cento marchi nel settore automotive, l’offerta di modelli da parte dei quali è imponente e avviene a prezzi impensabili per le aziende europee grazie al basso costo del lavoro e agli ingentissimi contributi statali dei quali le industrie cinesi possono godere.
Nel video propongo una riflessione sul futuro della nostra Italia, che fa comunque ancora parte del gruppo dei paesi più industrializzati del mondo anche se è lecito domandarsi fino a quando.
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© Questo articolo, a firma di Attilio Sartori, è apparso per la prima volta sul Blog LA MOSSA GIUSTA.
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