Un pasticcio infinito, quello della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto che riporta in vita il Redditometro.
Al suo avvio è subito seguito uno stop ad opera del Governo che non è però intervenuto abrogando la legge, (e come avrebbe potuto a soli pochi giorni dalla sua entrata in vigore?), ma ha semplicemente dichiarato, esprimendo una sorta di indirizzo politico, di volerne rimandare gli effetti quanto meno a dopo le elezioni Europee.
L’esecutivo si era infatti immediatamente reso conto che non era il caso di varare un provvedimento così incisivo nei confronti dell’elettorato tale da generare emorragie di voti incontrollabili.
Quella del Redditometro è una questione non affatto chiusa, e quello a cui stiamo assistendo è solo l’ultima puntata di una telenovela infinita nata nel 1973 se non prima.
Era il 1973 quando il Redditometro si affacciò con poca fortuna nel panorama fiscale italiano, e da allora ne ha passate di cotte e di crude.
Infine fu sospeso nel 2018 (in quella occasione fu varato un vero decreto) e ora, come l’“Araba Fenice”, riprende a volare.
È tornato e non se ne andrà perché è la finanza del nostro Paese ad averne bisogno.
È irrinunciabile fronteggiare l’enorme evasione fiscale per recuperare gettito a fronte di un debito statale che in Europa non ha eguali.
Senza contare che la sua riproposizione è nel programma del Governo che ne aveva dato, qualche mese fa, una precisa anticipazione quando ebbe a dire che il Fisco sarebbe andato a scovare gli evasori indagando sui profili social di coloro che postano le riprese che si sono fatti col telefonino in resort extralusso, oppure in ristoranti stellati, o alla guida di ipercar, avendo presentato denunce dei redditi da nullatenenti.
Quello che è trattenuto ai nastri di partenza è il vecchio o è un nuovo Redditometro?
A parte le micro modifiche apportate alla sua versione precedente, resta immutata la sua finalità che è quella di riconoscere all’Amministrazione fiscale il potere discrezionale di procedere, nei confronti dei contribuenti, con il cosiddetto accertamento sintetico, ovvero la possibilità del Fisco di contestare al contribuente incongruenze fra acquisti, tenore di vita e reddito dichiarato.
Il contribuente “pizzicato” potrà avviare non uno, ma ben due contraddittori col Fisco che non basteranno comunque a convincerlo circa l’inesattezza delle proprie presunzioni.
Tanto più che la normativa tributaria impone al contribuente l’onere della prova contraria.
In pratica la legge pretende che sia il contribuente a fornire la dimostrazione che la contestazione rivoltagli dal Fisco è nulla.
Smantellare un accertamento induttivo, basato su presunzioni, vuol dire fornire prove a discolpa il più delle volte “diaboliche” ovvero la cui raccolta è difficilissima se non impossibile.
Che fare allora?
Ne parlo nella video intervista.
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© Questo articolo, a firma di Attilio Sartori, è apparso per la prima volta sul Blog LA MOSSA GIUSTA.
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