Occupazione su... crescita giù!


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“OCCUPAZIONE SU... CRESCITA GIU'!"


Occupazione su… crescita giù!

In Italia e in tutta l’area Euro si registra un marcato aumento dell’occupazione in un contesto, però, di debolezza dell’attività economica.
Una situazione per certi versi anomala, ma che ha delle spiegazioni
 

Produttività del lavoro

La produttività del lavoro (produzione per singolo lavoratore) condiziona il ciclo economico che normalmente si rafforza con il crescere dell’occupazione, dal momento che ogni addetto dovrebbe generare, col suo lavoro, una ricchezza superiore al costo sopportato per produrla.
Il ciclo economico si indebolisce quando, viceversa, il costo sostenuto per produrre la ricchezza è superiore alla ricchezza prodotta.
Basti pensare a come opera un imprenditore nel momento in cui decide di assumere un nuovo dipendente.
Tanto nell’ipotesi di ricambio della forza lavoro, che di implementazione della stessa, egli si porrà la domanda se il nuovo assunto, col proprio lavoro, produrrà “valore aggiunto”, ovvero una ricchezza superiore al costo che si dovrà sostenere per esso.
Tipicamente l’imprenditore procederà nella nuova assunzione se questa dinamica verrà rispettata, eventualmente rinunciandovi in caso contrario.
 

Occupati in aumento, PIL a velocità ridotta 

Aumentano gli occupati, ma il PIL procede a velocità ridotta.
Se lo sguardo passa dalla visione della dinamica economica di una singola impresa a quella dello Stato, il termine di riferimento sarà il Prodotto Interno Lordo, ovvero la ricchezza che lo Stato genera, e il numero di occupati in grado di farlo.
I dati a disposizione sembrano indicare che l’aumento del numero di occupati In Italia sia più che proporzionale rispetto a quello della ricchezza prodotta, con la conseguente riduzione della produttività del lavoro per singolo occupato in un contesto di debolezza dell’economia.
 

Economia italiana cresce? Solo in alcuni comparti

Il Sole24 Ore, facendo riferimento alla recente analisi proposta da Confindustria, rileva come l’economia italiana sia comunque cresciuta nel primo trimestre del 2024, ma solo dello 0,3% e, per di più, in maniera disomogenea tra i diversi comparti economici, che hanno proceduto a velocità diverse.
Positivo il turismo, su livelli record, bene i servizi, in moderata crescita, e l’export netto.
Male invece l’industria che va ancora giù registrando, a marzo, una flessione della produzione dello 0,5% (-1,3% nel primo trimestre).
Ad aprile tutti gli indicatori erano negativi: bassa la fiducia, lieve peggioramento delle attese.
 

Migliore qualità nel rapporto di lavoro

Si registra non solo un incremento nel numero di occupati, ma anche un miglioramento nella qualità del rapporto di lavoro.
In controtendenza rispetto alla situazione descritta di rallentamento economico, più deciso nel comparto industriale, l’occupazione registra un incremento che ha interessato soprattutto la fascia di lavoratori con contratto a tempo indeterminato e si è rivelata maggiore nelle regioni del Mezzogiorno.
Questo andamento insiste da tempo ed è ancora in corso.
Un recentissimo rapporto dell’Istat riferisce come i dati sull’occupazione nel primo trimestre del 2024 siano in ulteriore miglioramento con un aumento degli occupati di 75.000 unità rispetto allo stesso periodo (primo trimestre) del 2023, registrando – come sopra indicato - una crescita dello 0,3%.
Le analisi riferite al mese di aprile rafforzavano questa tendenza.
 

Una situazione complessa e di difficile lettura

Questi dati confermano quanto sia complessa la lettura delle tendenze del mercato del lavoro, con una occupazione in crescita in una fase di decelerazione della crescita dell’economia.
Un trend, quest’ultimo, confermato dall’ Istat che rileva come nel primo trimestre 2024, le ore lavorate siano aumentate dello 0,6% rispetto al trimestre precedente e del 1,5% rispetto al primo trimestre del 2023, in presenza, però, di una crescita del Pil del solo 0,3%.
 

L’Italia è in buona compagnia

In Europa quella dell’Italia non è una situazione anomala.
Guardando a Francia e Germania, l’aumento dell’occupazione in Italia supera non di molto quello della Germania, anche se è decisamente inferiore a quello della Francia.
È la situazione Francese a essere particolare, tanto più se si considera che, parlando di produttività del lavoro, i dati italiani evidenziano un andamento comunque in linea con quello Europeo.
 

Anomalia apparente

I motivi da ricercare per comprendere il trend apparentemente anomalo dell’occupazione rispetto a quello economico sono molteplici.
Dalla situazione nella quale si sono trovati i diversi settori economici dei paesi dell’area Euro, e l’Italia tra essi, dopo la fine della pandemia, agli effetti prodotti dall’impennata della domanda post-pandemica, a quelli generati dall’inflazione, che solo ora sta lentamente riportandosi su livelli meno allarmanti, al peso degli interventi statali.
Non sono inoltre certamente da trascurare gli effetti prodotti sulla dinamica economica e dell’occupazione dagli shock geopolitici che si manifestano da tre anni a questa parte.
 

Il periodo post-Covid

La prima difficoltà che hanno incontrato le imprese sopravvissute alla pandemia è stata quella di recuperare le rispettive forze lavoro.
Di fronte alla repentina ripresa della domanda, che ha caratterizzato il periodo post-Covid ed è risultata inaspettata per velocità e portata, molte aziende si sono fatte trovare impreparate, con organici che erano stati ridotti durante la pandemia.
Erano per questo in grave difficoltà nell’adeguare rapidamente la loro produzione per rispondere a una domanda crescente in modo esponenziale, sia per effetto di una sorta di reazione alla precedente contrazione pandemica, che per l’essere venuto meno un numero importante di competitors soffocati dalla pandemia.
Di qui la necessità, per esse, non solo di assumere nuove maestranze, ma anche lavoratori più esperti, in grado, cioè, non solo di svolgere mansioni che i nuovi assunti non erano in grado di eseguire, ma anche formare e organizzare i nuovi occupati.
 

Forza lavoro in esubero mantenuta operativa

Tale situazione, sopportata per di più per un lungo periodo, renderebbe ora le imprese restie a ridimensionare gli organici nell’attuale fase di frenata della crescita economica che pure lo giustificherebbe.
Questo perché può essere molto costoso licenziare lavoratori con la prospettiva di riassumerli e formarli nuovamente quando la situazione dovesse migliorare.
Senza contare i limiti posti dalla contrattazione collettiva a pratiche di dismissione-riassunzione dei lavoratori come diretta conseguenza di situazioni congiunturali.
Trattenere la forza lavoro nei momenti difficili è quindi diventata una pratica piuttosto comune tra le imprese.
Non a caso si registrano, ad oggi, anche nei settori in difficoltà per essere venuta meno la propulsione post-pandemica, pochissime riduzioni degli organici.
 

Crescita dell’occupazione disomogenea e carenza di mano d’opera specializzata

Un altro aspetto da considerare è la concentrazione dell’incremento occupazionale in quei servizi caratterizzati da un valore aggiunto per occupato mediamente basso, come è il caso, ad esempio, delle attività legate al turismo.
Nell’industria, malgrado l’attuale fase di contrazione economica che si registra nel comparto, la ricerca di personale continua a essere affannosa, come dimostra la ricomparsa di cartelli, posti all’ingresso di tanti capannoni industriali disseminati nelle provincie del nord-est, con offerte di lavoro a operai specializzati che sono quelli drammaticamente mancanti.
Una condizione, la mancanza di mano d’opera specializzata, che è fattore determinante della sofferenza attuale del comparto industriale.
 

Aumenta il profitto e si trattiene la forza lavoro

Va poi detto che la fase post-pandemica, se da un lato ha creato delle significative difficoltà alle imprese sul piano della ricerca del personale, dall’altro ha favorito l’aumento dei margini di profitto che nel 2022/23 ha permesso alle aziende di trattenere i propri dipendenti, nonostante il calo dei ricavi, per un periodo più lungo del solito.
In altre parole, i margini di profitto elevati hanno creato uno spazio finanziario per le aziende per trattenere la forza lavoro.
Un’analisi recente della BCE, che ha interessato gli anni dal 2014 al 2023, evidenzia come un aumento del margine di profitto di un punto percentuale aumenti la probabilità di trattenere la forza lavoro di 0,2 punti percentuali.
 

Moderazione salariale malgrado l’inflazione 

In questo quadro si inserisce, inoltre, la eccezionale moderazione salariale, pur di fronte agli aumenti significativi dei prezzi, con conseguente riduzione del potere di acquisto.
Una situazione di svantaggio per i lavoratori, nel nostro Paese, che li ha visti, malgrado ciò, di fatto passivi, consentendo alle imprese di sostenere la domanda di lavoro.
L’erosione inflazionistica ha infatti consentito alle imprese, che si trovavano nella condizione di poter allineare immediatamente i propri prezzi di vendita a quelli di un mercato in continua crescita, di essere favorite da una diminuzione dei salari reali e quindi del costo del lavoro effettivamente patito.
 

Si lavora meno

Alla fine del 2023, una persona impiegata nell’area dell’Euro ha lavorato in media cinque ore in meno per trimestre rispetto a prima della pandemia.
Questo equivale a una carenza di circa 2 milioni di lavoratori a tempo pieno.
Una grande parte di questa riduzione delle ore è stata certamente compensata a livello aziendale, ad esempio migliorando i processi, riducendo alcuni sprechi o forse le ore straordinarie non registrate.
Ma è plausibile che le aziende abbiano dovuto ricorrere all’assunzione di nuovi lavoratori per compensare la diminuzione delle ore medie lavorate.
 

Il Superbonus: un caso Italiano

Gli interventi pubblici per il sostenimento dei livelli occupazionali sono comuni a tutti gli Stati Europei.
Sotto questo profilo il ruolo della pubblica amministrazione è rilevante.
Tuttavia l’intervento pubblico in Italia si è differenziato da quello dell’area euro in termini di effetti sulla composizione settoriale degli incrementi occupazionali.
Infatti lo Stato, negli anni trascorsi ma anche oggi, ha agito soprattutto sostenendo gli investimenti in costruzioni, attraverso gli incentivi del Superbonus.
Il settore delle costruzioni ha avuto quindi un ruolo determinante nel sostenere la crescita dell’occupazione in Italia.
Essendo le risorse necessarie messe a disposizione dallo Stato, a fondo perduto, la crescita dell’occupazione nel settore edile ha potuto procedere senza che gli imprenditori, spessissimo improvvisati, dovessero considerare il valore aggiunto per ora di lavoro svolta.
Una situazione voluta dalla politica in base a valutazioni inadeguate, impermeabili a qualsiasi analisi costi/benefici, che ha drogato un intero comparto e il suo indotto, e generato un debito statale aggiuntivo di portata immensa.
Non sorprende allora che l’andamento occupazionale, in edilizia, sia risultato disallineato rispetto al quadro economico complessivo.
 

La domanda del settore pubblico

La domanda di personale da parte del settore pubblico (amministrazione, scuola, sanità…) è in generale slegata dall’andamento del ciclo economico e questo contribuisce, in generale, a spiegare la crescita occupazionale anche in una fase di decelerazione dell’economia.
Su questo fronte l’Italia è cronicamente, se non addirittura strutturalmente, inadeguata.
Prova ne sia la sistematica assenza di organici che viene quotidianamente denunciata e che si traduce in disservizi, o mancanza assoluta di servizi, in ogni comparto.
Ma la situazione non potrà, neppure da noi, rimanere immutata nel tempo.
Significativi, allora, sono i primi segnali di incremento occupazionale pubblico.
Il pubblico ha necessità di ampliare e ringiovanire gli organici, anche per sostenere gli ambiziosi programmi di digitalizzazione e rafforzamento infrastrutturale del paese.
 

Un quadro che sta cambiando: margini di profitto in appiattimento

Per le imprese il trend di crescita dei margini di profitto dei primi anni post-pandemia si sta appiattendo.
Si prevede che i profitti andranno riducendosi via via che i salari nominali si adegueranno al dato reale con conseguente aumento del costo del lavoro per le imprese.
Ciò ridurrà, per esse, lo spazio finanziario che avevano a disposizione non solo per trattenere i lavoratori ma anche per creare nuovi posti di lavoro.
Inoltre è probabile che in futuro la forza lavoro cresca in misura minore, poiché la misura della popolazione ancora inattiva e che potrebbe essere attivata è notevolmente diminuita.
 

Cosa accadrà se o quando non avremo più risorse da assumere?

È una questione demografica e di gestione dell’immigrazione.
Se i nati sono sempre in numero minore e i flussi di immigrazione di forza lavoro vengono ostacolati, ad un certo punto l’occupazione diminuirà perché non ci sarà chi assumere.
Infine, si è già detto di come, nell’area Euro, si siano aperte le prospettive di occupazione per due milioni di lavoratori semplicemente a causa della riduzione del numero di ore lavorate.
Il fenomeno è Stato riscontrato da indagini mirate.
Mentre alcuni dipendenti a tempo pieno desiderano lavorare meno ore, questo viene in parte compensato da lavoratori a tempo parziale che desiderano lavorare di più.
È probabile che il trend al ribasso delle ore medie lavorate continui, ma a un ritmo più lento.

Un’analisi con tanti quesiti di cui parlo nella video intervista.

 

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© Questo articolo, a firma di Attilio Sartori, è apparso per la prima volta sul Blog LA MOSSA GIUSTA.
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