Il 23 aprile scorso il Parlamento europeo ha votato le modifiche al “Patto di stabilità e crescita”. Sei giorni dopo, il 29 Aprile, è arrivato il via libera formale attraverso il Consiglio dell’Agricoltura.
Le norme varate sono entrate in vigore il Primo Maggio.
Il trattato di Maastricht, l’atto fondante dell’Euro e della Banca Centrale Europea, stabiliva che
• il debito dei Paesi aderenti doveva essere contenuto entro il 60% del PIL
• e il deficit non doveva superare il 3%, sempre del PIL.
A firmare l’accordo, poi sottoscritto anche dagli altri Paesi della Ue, sono stati dodici Paesi, i cui conti erano ben diversi da quelli attuali.
Nel 1992 erano solo due i Paesi con un debito superiore al 100% del PIL, l’Italia e il Belgio, e solo cinque Paesi, ma i più importanti d’Europa, rispettavano la soglia del 60% (Portogallo, Regno Unito, Spagna, Francia e Germania).
A fine 2023, ben cinque Paesi presentano un rapporto debito/PIL sopra i 100 punti, una lista che vede aggiungersi ai soliti Belgio e Italia, la Grecia e due big come Francia e Spagna.
I virtuosi sono quattro: Danimarca, Irlanda, Lussemburgo e Paesi Bassi.
La Germania con il 63,6%, non sta più sotto l’asticella, perché eccede, seppure di poco, la soglia indicata dal trattato di Maastricht.
In mezzo ci sono state diverse crisi, soprattutto le ultime, dal Covid in poi, che hanno fatto esplodere la spesa pubblica a sostegno dell’economia e portato alla sospensione delle regole del Patto di Stabilità.
A distanza di più di 20 anni è stato lecito domandarsi se quegli obblighi fossero ancora validi, anche alla luce di numeri profondamente cambiati.
La pausa sulle regole di bilancio (connesse alla pandemia COVID, prima e alla guerra tra Russia e Ucraina, poi) ha favorito un momento di riflessione sull’opportunità di reintrodurre le regole del Trattato di Maastricht, a partire da quest’anno, lasciandole tali e quali, oppure cambiarle.
Dalla discussione tra i vari Paesi si è raggiunto quello che, secondo il Commissario europeo agli Affari economici della Ue, Paolo Gentiloni, si può definire come “un buon compromesso” che consente di passare dalla assoluta rigidità, invocata e chiesta dai Paesi più frugali e dalla Germania, a una relativa flessibilità in grado di mitigare l’impatto degli obblighi di bilancio rimasti invariati.
Infatti l’obiettivo di avere un rapporto debito/PIL al di sotto del 60% e di un rapporto deficit/PIL inferiore al 3% non è cambiato, ma è mutata la via per raggiungerlo.
Ogni Paese dovrà indicare un piano quadriennale, ampliabile a sette anni per qualsiasi motivo plausibile, come anche un cambio di governo, per mettersi in regola o almeno per posizionarsi su una traiettoria che realisticamente consenta di incamminarsi verso il raggiungimento dei target.
Non un piano uguale per tutti, ma costruito su misura per ogni Paese, attraverso un dialogo bilaterale con la Commissione, escludendo dal calcolo i programmi finanziati dall'Unione europea e che tenga conto della situazione sociale e delle spese per interessi, soprattutto in un contesto di tassi elevati, salvaguardando così gli investimenti necessari per innescare la crescita economica del Paese.
Su questo impianto, però, sono stati inseriti alcuni paletti con il fine di guidare la discesa di debito e deficit in modo unitario.
I Paesi con un indebitamento superiore al 90% del PIL (è il caso dell’Italia) saranno tenuti a ridurlo in media dell'1% all'anno, mentre chi lo ha tra il 60 e il 90%, dello 0,5%.
Se il disavanzo di un paese, fosse poi superiore al 3% del PIL, (è sempre il caso dell’Italia), il rapporto dovrebbe essere ridotto progressivamente per raggiungere l'1,5% e creare una riserva di spesa per poter affrontare periodi in cui le condizioni economiche non saranno favorevoli.
I paletti posti dal nuovo Patto Europeo di Stabilità significano per l’Italia il dover scegliere tra un piano di riduzione del debito di 4 anni o uno di 7 anni.
Uno scenario, se possibile, più plumbeo per l’Italia è quello dipinto da uno studio condotto dall’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica: «Se si volesse non solo rifinanziare le misure che si esauriranno a fine 2024, ma anche mantenere il rapporto tra debito e PIL intorno ai valori previsti a fine 2024 (137,8%) occorrerebbe introdurre misure correttive per circa 30 miliardi.».
La somma di cui sopra dovrà essere recuperata attraverso una riduzione della spesa pubblica, in quanto il PIL, per quanto stimato in crescita, sarà, da solo, assolutamente insufficiente. Senza contare che i dati per esso indicati dal Governo nel DEF (Documento di Economia e Finanza recentemente varato) sono troppo ottimistici.
Non a caso gli analisti danno per scontata una manovra correttiva in estate.
Non è pensabile, infine, ricorrere a un maggior indebitamento (con emissione di titoli del debito pubblico) perché l’Italia vi ha già ricorso nella Manovra economica 2024, sforando di circa sei miliardi la soglia per essa inizialmente prevista.
Ciò non sarà replicabile nel 2025, stante il percorso di riduzione del debito come deciso nel Patto di Stabilità.
Rispetto a questo scenario il Governo ha deciso di rinviare ogni decisione a dopo le elezioni Europee.
Infatti se si deve tagliare, come sarà necessario fare anche come conseguenza della procedura di infrazione per deficit eccessivo che la Commissione Europea avvierà contro l’Italia, la logica politica impone di farlo solo quando i giochi elettorali si saranno chiusi.
In questo senso non solo il Documento di Economia e Finanza “Light”(vedi articolo Intorpidimento Elettorale) che, in quanto tale, non contiene indicazioni circa le azioni che il Governo porrà in essere per realizzare gli obbiettivi che, nel documento, sono solamente enunciati, ma anche le dichiarazioni del Ministro dell’economia Giorgetti che, in Parlamento, ha riferito come i piani dettagliati in parola saranno presentati alla volta di Agosto.
Oltre ai tagli alla spesa pubblica il Governo dovrà poi trovare i soldi per prorogare o rendere strutturali le misure che andranno in scadenza a fine anno, ovvero il taglio del cuneo fiscale e la nuova Irpef.
Per non parlare delle risorse che l’Italia dovrà destinare alla transizione energetica, alla crescita della economia “green”, agli impegni che verranno assunti in ambito europeo per la creazione di un sistema di difesa comune, al finanziamento dei conflitti in essere, alla definizione, a livello comunitario, di una strategia economica che consenta all’Europa di contrastare la concorrenza delle imprese cinesi, gli investimenti delle quali sono interamente finanziati dal governo centrale al pari di quelle americane.
L’Europa è passata da una condizione nella quale la difesa era assicurata dall’America (USA), l’energia non costava praticamente nulla e il mercato cinese si presentava come potenzialmente illimitato, alla condizione attuale caratterizzata dai tentennamenti americani in sede Nato, dall’esaurirsi delle forniture di gas e petrolio russo, dalla concorrenza delle imprese cinesi e delle immense risorse di cui possono disporre, aiutate, in questo, da una politica europea condizionata da scelte ideologiche e dalla pressione della Germania nel passaggio alla mobilità elettrica come unica via perseguibile per ridurre l’inquinamento ambientale, rendendo l’Unione europea schiava di un nuovo padrone: la Cina al posto della Russia.
Questi i proclami: dal Ponte di Messina ai cento Euro (lordi) in busta paga, ma a pochi e comunque a Gennaio 2025, ovvero nel prossimo anno fiscale, dai condoni per raschiare il fondo del barile, al Concordato Preventivo Biennale per cercare di avere entrate programmabili in assenza di ogni azione volta al recupero dell’evasione fiscale.
Ultimo, ma tanto propagandistico quanto inattuabile, stante la situazione attuale dei conti pubblici, è il “Decreto Coesione”, approvato in Consiglio dei Ministri il 30 Aprile ‘24, che contiene incentivi a fondo perduto per l’autoimpiego, ovvero finanziamenti che possono essere usati per costituire nuove imprese e società o avviare un’attività professionale.
Per chi apre la partita IVA si prevedono quindi contributi e voucher da trenta a cinquantamila Euro ai quali si aggiunge un ulteriore contributo per determinate tipologie di investimenti.
Con il massimo rispetto per i destinatari dell’agevolazione, non si può non notare come si tratti di soggetti lontanissimi da ogni esperienza imprenditoriale e professionale trattandosi di disoccupati (per definizione non imprenditori, né professionisti) fino a 35 anni; persone in condizioni di marginalità, vulnerabilità sociale e discriminazione; gli inattivi; i disoccupati beneficiari di ammortizzatori sociali.
Non si è lontani dal vero nel pensare che siano soldi buttati perché imprenditori non si diventa dall’oggi al domani ed essere stati lavoratori dipendenti non rappresenta un attestato di imprenditorialità acquista ma, semmai, l’esatto contrario.
E poi con che scopo?
Secondo quale piano strategico?
Per quanto tempo?
Quali i risultati attesi?
Come ho detto in tante occasioni gli interventi propagandistici, come, da ultimo, il “Decreto Coesione”, non servono a nulla se non ad aggravare il deficit dello Stato e a rendere sempre più ardua la rincorsa degli obblighi di bilancio che uno Stato serio deve rispettare in tema di economia e finanza.
Gli incentivi fiscali, inoltre, anche se orientati a favore di imprese meritevoli, servono solo da alibi per i governanti per dire di essere intervenuti a favore delle imprese e intestarsene i meriti, quando gli stessi sono solo degli imprenditori che sì, solo loro, “ci mettono la faccia”.
La politica dello Stato in favore delle imprese deve essere quella di creare per le stesse un terreno fertile per lo sviluppo, dove il peso della burocrazia sia ridotto enormemente.
Non si può pensare di fare un investimento nell’energia solare e poi attendere anni e anni per ottenere il via libera all’installazione dei pannelli solari.
Quello che serve è
Tutto sarebbe così riconducibile a un progetto strategico chiaro quanto a obbiettivi, risorse da impiegare e ritorni attesi, condiviso da tutti gli attori che avrebbero ben chiaro, in questo modo, il perché dei loro sacrifici.
Compila il Form di contatto nel nostro sito o scrivi a segreteria@studioassociatomsc.com per richiedere aggiornamenti e maggiori informazioni sulle attività dello Studio e per restare aggiornato sulle norme di maggior interesse e impatto per le attività produttive e le PMI in questa delicata fase economica.
Seguici anche sui Social media
Studio Associato MSC LinkedIn
dottor Attilio Sartori LinkedIn
Canale Youtube Studio Associato MSC - dottor Sartori
-------------------------------------------
© Questo articolo, a firma di Attilio Sartori, è apparso per la prima volta sul Blog LA MOSSA GIUSTA.
Tutti i diritti riservati.