Il trattato di Maastricht è l’atto fondante dell’Euro e della Banca Centrale Europea
L’Europa ha messo mano al trattato di Maastricht dopo che lo stesso era stato sospeso per alcuni anni allo scopo di alleggerire gli obblighi di bilancio degli Stati della Comunità Europea nel periodo tormentato, prima dalla pandemia Covid, e quindi dallo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina.
La pausa nell’ obbligo di applicazione delle regole di bilancio del trattato di Maastricht ha favorito un momento di riflessione sull’opportunità di reintrodurle, a partire da quest’anno, lasciandole tali e quali, oppure cambiarle.
Dal 1992, anno di sottoscrizione del trattato, la situazione in Europa è cambiata e i “numeri” dei bilanci degli Stati aderenti sono diventati ben diversi.
Questa osservazione è stata alla base della discussione tra i vari Paesi tra i quali si è raggiunto quello che moltissimi definiscono “un buon compromesso” perché consente di passare dalla assoluta rigidità, invocata e chiesta dai Paesi più frugali e dalla Germania, a una relativa flessibilità nell’ obbligatorio percorso di allineamento agli irrinunciabili parametri di bilancio (debito contenuto nel limite del 60% del PIL e deficit non superiore al 3% dello stesso).
Negli oltre vent’anni che ci separano da quella data l’unica cosa a non cambiare è stata la situazione di bilancio dell’Italia il cui debito pubblico è sempre stato oltre il 100% del Prodotto Interno Lordo, ora previsto nel Documento di Economia e Finanza (giudicato troppo ottimistico nelle sue previsioni) al 137,8%.
Per l’Italia il rispetto degli obblighi di bilancio comunitari vorrà dire dover scegliere tra un piano di riduzione del debito di 4 anni o uno di 7 anni.
Nel primo caso, le analisi più ottimistiche prevedono che il taglio alla spesa pubblica sarà di 25,4 miliardi nel primo anno, nel secondo, invece, la sforbiciata sarebbe da 13,5 miliardi.
È lecito domandarsi, allora, in che modo si potranno reperire risorse di simile entità e se il fabbisogno statale sia fuori controllo.
Come faremo ad affrontare un futuro di impegni nella transizione energetica e di passaggio alla economia “green”, nella creazione, in Europa, di un sistema di difesa comune, nel finanziamento dei conflitti in essere, nel sostegno alle imprese Italiane per contrastare la concorrenza di quelle cinesi, gli investimenti delle quali sono interamente finanziati dal governo centrale al pari di quelle americane?
E l’impegno dell’Italia nella Nato?
È di questi giorni il richiamo americano all’ Italia di rispettare l’impegno, assunto da anni, di destinare il 2% del PIL agli armamenti, cosa che il nostro Paese non ha mai fatto, a differenza della gran parte dei paesi europei.
Quello che si nota è come questi temi passino sottotraccia.
Non se ne parla in questo periodo pre-elettorale, benché si tratti di questioni che interessano la relazione tra l’Italia e l’Europa, il nostro peso nei consessi internazionali, la capacità di incidere nelle politiche comunitarie, perché il rispetto si ottiene e si mantiene anche pagando i propri debiti o dimostrando di essere in grado di farlo.
Temi Europei perfettamente allineati alla natura del prossimo impegno elettorale.
Si parla di tutt’altro, facendo la solita demagogia con il “Decreto Inclusione”.
Si presenta infatti come il solito strumento per sprecare i soldi pubblici in iniziative avulse da una qualsiasi strategia che abbia delle finalità precise in favore di determinate categorie di imprese “a valore aggiunto”, rispetto alle esigenze di crescita economica, che sia in grado di individuare quali siano i risultati attesi, i benefici rinvenibili, i tempi di realizzazione, l’interazione attesa con tante altre iniziative che dovrebbero essere programmate e messe “a sistema”.
Una situazione che contribuisce a creare incertezza nel futuro.
L’imprenditore, come ho detto in tante occasioni, patisce il “rischio di impresa” che è connaturato al suo ruolo.
Ma l’incertezza è una situazione ben diversa, una patologia del sistema che impedisce di vedere avanti e di misurare il rischio.
Nella video intervista parlo dell’Italia spendacciona chiamata alla resa dei conti nel Nuovo Patto di Stabilità.
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© Questo articolo, a firma di Attilio Sartori, è apparso per la prima volta sul Blog LA MOSSA GIUSTA.
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