L'ultima trovata dello Stato per non pagare i propri debiti


Finanziaria 2020: avete cominciato a leggerla?

Se lo state facendo, la prima cosa che vi meritate è certamente un premio perché siete tra i pochi che possono dire di aver individuato il documento vero e definitivo della “Legge di Bilancio“, come si chiama in realtà quella che da sempre chiamiamo “Finanziaria”.
Siete, cioè, riusciti a individuare con certezza il testo definitivamente approdato in Gazzetta Ufficiale e non lo avete confuso con le centinaia di bozze, rettifiche di bozze, testi definitivi di bozze, dichiarazioni, promesse, che la stampa puntualmente riporta in nome di una distorta visione di ciò che è cronaca, specie se di natura economico-finanziaria.
Infatti, nel suo percorso di definizione, essa subisce centinaia di aggiustamenti per cercare di conciliare tutto e il contrario di tutto.
Si è, quindi, in presenza di decine e decine di versioni della norma rispetto alle quali la domanda che sorge spontanea è: “…ma starò leggendo la versione giusta?”.
Una volta si insegnava nella Aule Universitarie che le normative, specie quelle fiscali, dovevano essere divulgate solo nel loro testo definitivo, per evitare che qualunque categoria si sentisse coinvolta o esclusa dal provvedimento e non procedesse ad azioni.
Alla prova dei fatti visto che, per motivi propagandistici, questo principio è stato abbandonato da decenni, si può parlare di un vero e proprio “attacco alla diligenza”.
Chiunque, ma veramente chiunque, possa vantare un qualche appoggio parlamentare, cerca di farlo valere “pro domo sua”.
In questo periodo di partiti e schieramenti che non hanno assolutamente a cuore lo Stato, con la “S” maiuscola, composti come sono da soggetti che ben volentieri assecondano persone, categorie, associazioni di ogni tipo, il reato di “interesse privato in atti di ufficio” è la norma e resta assolutamente impunito.
Per i propri fini propagandistici, in funzione di una possibile rielezione, ma anche, fuori dal Parlamento, per volersi creare una reputazione che altrimenti non potrebbe mai avere, l’incaricato parlamentare riesce nel miracolo di elevare a elementi qualificanti l’incapacità, l’ignoranza, la stupidità che sarebbero conclamate nel caso di un comune cittadino, mentre passano sotto silenzio per chi vanta un passato o un presente parlamentare.
 

Legge di bilancio: una vera accozzaglia

La Legge di bilancio non è leggibile in quanto tale, a meno che per lavoro non facciate gli editorialisti o commentatori in ambito economico-fiscale.
Essa si presenta come una sequenza infinita di richiami a leggi precedenti, i cui articoli, commi, paragrafi, capoversi, vengono sostituiti, modificati, riscritti.
Apparentemente non ha un senso compiuto, non è neppure un elenco telefonico: è molto peggio.
Per potersi muovere al suo interno bisogna cercare le sintesi e i commenti che editorialisti, professionisti, docenti universitari, commentatori in genere, pubblicano quotidianamente e che, se da un lato consentono di dare un senso compiuto a questo inestricabile ginepraio, riportano alla domanda di partenza: ”…ma starò leggendo il commento al testo definitivo oppure ciò che leggo e cerco di capire si riferisce a bozze, rettifiche di bozze, testi definitivi di bozze, dichiarazioni, promesse?”
 

Collegato Fiscale e Decreto Milleproroghe: il peggio non è mai morto.

La Legge di Bilancio ha due fratelli, il “Collegato Fiscale” e il “Decreto Milleproroghe”. In pratica la Legge di bilancio è un contenitore pieno di buoni propositi, è fatta per accontentare tutti, promette l’impossibile e neppure dice come farlo, se mai si potesse. Con il nulla che ha dentro si affloscerebbe come un sacco vuoto.
Ha allora bisogno di due sostegni, due assi portanti che la sorreggano senza incertezze.
 

Cos’è il Collegato Fiscale? Il fratello cattivo.

Il Collegato Fiscale definisce le nuove regole, i nuovi adempimenti, in una parola stabilisce le norme necessarie a generare il gettito fiscale che la Legge di bilancio ha solo promesso di poter garantire per contenere il disavanzo dello Stato, (di ripianarlo neppure parlarne… troppo ampio e in continua espansione).
Come la Legge di bilancio, anche il Collegato Fiscale non ha un contenuto comprensibile, ha subito un’“attacco alla diligenza” più violento di quanto non abbia subito la Legge di Bilancio, si è presentato in forma di bozze ripetute all’infinito, generando i soliti dubbi su cosa si stia leggendo realmente, affronta in termini definitivi gli aspetti fiscali della Legge di bilancio.
E’ un fratello cattivo perché la sua passione è riservare “bocconi avvelenati” a tutti noi che ci misuriamo col fisco.
Naturalmente è un documento che non ha alcun interesse per quelli di noi che col fisco non hanno a che fare, ovvero i bambini e gli evasori, in particolare a questi ultimi, non noti al fisco e come tali non perseguibili, ma in ogni caso, pur nell’anonimato, in grado di esprimere un’economia sommersa, vasta quanto quella visibile, che garantisce voti elettorali tanto più pesanti quanto più non viene investigata, disturbata, fatta emergere.
La tanto conclamata "lotta all’evasione" è una presa in giro tant’è che viene conclamata da quarant’anni ma non ha mai portato un Euro di maggior gettito. Come dire che il sommerso cresce più che proporzionalmente rispetto all’emerso.
L’evasione fiscale è una "gallina dalle uova d’oro", in primis per coloro che dichiarano di volerla debellare, e allora perché dovremmo aspettarci che proprio questi ultimi si facciano del male da soli?
Il Collegato fiscale è pieno di trappole e di tranelli per succhiare risorse, generando gettito fiscale, a carico dei “soliti noti”, quelli che le tasse le pagano già e dovrebbero essere almeno rispettati nel loro sforzo civico di essere rispettosi del bene comune.
 

E il Decreto Milleproroghe?

È il secondo fratello della Legge di bilancio.
E’ l’ultimo in ordine di tempo a essere varato ed un motivo c’è.
E’ infatti una specie di pattumiera dove finisce tutto quello che non ha trovato posto nel Collegato fiscale.
Nel Milleproroghe c’è spazio per norme “ad personam” o a vantaggio di determinate categorie di soggetti, norme talmente indegne che non potevano avere visibilità nei documenti di rango superiore.
Dentro il Milleproroghe, esse possono invece nascondersi, letteralmente “imboscarsi”, rimanendo nascoste ed emergendo unicamente quando verrà il loro momento. Nel decreto Milleproroghe possiamo assistere a come disposizioni del Collegato fiscale appena varato, vengano modificate o eliminate, a come vengano inserite nuove norme, anche di portata rilevantissima, contando sul fatto che tra migliaia di commi (tanta è la vastità del Milleproroghe) esse risultino invisibili, vengano modificate scadenze per adempimenti di ogni tipo, inserite agevolazioni a micro realtà territoriali non rappresentative di nulla se non del politico che vi si è messo a capo, addirittura disposizioni a favore di sagre e fiere locali.
Qui la questione gettito, che nella Legge di bilancio ma soprattutto nel Milleproroghe aveva una propria centralità, non esiste.
Anzi, si è in presenza della declinazione di centinaia di norme e interventi che erodono il gettito riservato allo Stato per dirottarlo in favore di interessi di parte e di partito.
 

Chi garantisce il rispetto dei principi costituzionali?

Ma non esiste un‘organo che garantisca il rispetto dei principi costituzionali che incardinano i valori, gli interessi del paese ed il rispetto dell’ordine democratico?
Il Presidente della Repubblica dovrebbe farsi carico di questa funzione.
Ma lo fa?
Forse sì anche se in realtà firma e basta, potrebbe non farlo ma lo fa.
Il suo ruolo Istituzionale lo assolve redigendo letterine a latere delle proprie firme per far emergere un personale dissenso.
E’ un po’ un pulirsi la coscienza, ma i suoi predecessori di fronte a leggi emanate in dispregio degli interessi dell’Italia avrebbero detto, come hanno detto, semplicemente “NO”.
 

Articolo 3: il “boccone avvelenato” del Collegato Fiscale.

Nel Collegato Fiscale ci sono moltissimi “bocconi avvelenati”.
C’è solo l’imbarazzo della scelta.
L’art. 3 del Collegato Fiscale, anche alla luce di diversi aspetti, si presenta tra i peggiori. Esso prevede una vera e propria “stretta alle compensazioni” per imprese e lavoratori autonomi.
Come si vede:
  • il posizionamento del “boccone“ è nel Collegato Fiscale, che è dove ci aspettavamo di trovarlo;
  • prevede un provvedimento restrittivo;
  • i destinatari sono le imprese ed i lavoratori autonomi.


Chi viene tutelato in Italia?
Di sicuro non le imprese e i lavoratori autonomi.

Prima di entrare nel merito, la riflessione è se il Governo abbia fatto una scelta di chi vada tutelato nel nostro Paese.
In realtà certamente si, quando identifica come destinatari di un provvedimento “restrittivo“, imprese e lavoratori autonomi, ovvero gli unici soggetti in grado di far ripartire la nostra economia.
Quelli che investono e credono nel loro lavoro e lo fanno alla luce del sole perché certamente tale provvedimento mai interesserà il sommerso.
Si comprende quindi come siano presenti tutti i caratteri di una frode operata nei confronti degli onesti e come sia conclamata la considerazione che imprese e lavoratori autonomi non siano considerati i portatori del valore “lavoro”, citato dalla Costituzione.
Dove il governo creda di trovare le energie sane per consentire all’ Italia di recuperare prestigio e prosperità francamente non si comprende.
E’ certo però che coloro che dovrebbero essere aiutati in quanto forza propulsiva di risanamento dell’economia del paese, trovano in questa, come in tante altre norme all’interno della Legge di bilancio e del Collegato fiscale, la rappresentazione concreta del disinteresse degli amministratori dello Stato che, evidentemente, vedono all’interno di altre categorie i soggetti da tutelare.
 

Quando si parla di compensazioni, cosa si intende?

La compensazione consiste nella possibilità di compensare un debito che un contribuente ha con l’Erario, con un credito che il medesimo vanta nei confronti dello stesso.
Lo scopo è il mantenimento del ciclo finanziario aziendale, perché non ha alcun senso privare di liquidità un’azienda per la copertura di un debito in presenza di un credito nei confronti dello stesso soggetto.
La regola vale in ambito fiscale come nei rapporti tra imprese per forniture di beni e servizi.
Il Codice Civile consente la compensazione contabile delle imposte a debito e credito nei confronti dello stesso soggetto, naturalmente rispettando alcune regole che valgano ad assicurare l’esistenza e la certezza del credito da utilizzare in compensazione.
 

Come funzionano le compensazioni?

Il principio generale non può essere disatteso prevedendolo il Codice Civile, ma le modalità di applicazione possono essere infinite.
In questo caso il Governo si riferisce ai crediti che possono emergere dalle dichiarazioni dei redditi annuali per Imposte Dirette (IRPEF-IRES) e IRAP.
Prendiamo il caso di un professionista.
A fronte della parcella emessa egli non incassa dal cliente l’intero importo fatturato, ma lo stesso ridotto del 20%.
Tale trattenuta (il 20%) verrà successivamente versata dal cliente direttamente all’Erario, in nome e per conto del professionista (con il noto Mod. F 24).
Il professionista, nella determinazione dell’imposta IRPEF/IRAP da pagare defalcherà quanto già versato dal proprio cliente, pagando con ciò la sola differenza.
Se però quanto trattenuto dal cliente, e da questi riversato all’Erario in nome e per conto del professionista, fosse stato superiore all’imposta realmente dovuta da quest’ultimo, per la differenza questi si troverà a credito verso l’Erario che sarà a sua volta a debito nei suoi confronti, avendo ricevuto più soldi di quanto gliene spettassero a fronte delle imposte effettivamente dovute.
Lo stesso vale per tutti coloro che subiscono le ritenute d’acconto e anche per gli artigiani che le subiscono nella misura del 4% sui lavori di ristrutturazione edilizia.
 

In cosa consiste la “stretta alle compensazioni”?

Come si è detto il credito così emergente può essere utilizzato per compensare altre imposte nei confronti dello stesso soggetto, ovvero l’Erario.
Tale possibilità valeva a partire dal 1 Gennaio dell’anno successivo, ovvero il credito al 31 Dicembre 2019 avrebbe potuto essere utilizzato in compensazione dal 1 Gennaio 2020, con qualsiasi altra imposta o contributo.
Pertanto era sufficiente un conteggio di massima per sapere di quale credito si disponesse cominciando subito a utilizzarlo per l’IVA, per l’IRPEF sulle buste paga dei dipendenti, ecc.
In questa maniera il ciclo finanziario del professionista o della piccola impresa non veniva compromesso da pagamenti, pur in presenza di crediti nei confronti dello stesso soggetto Erario.
Ora l’Art. 3 del Collegato fiscale non nega tale possibilità, né potrebbe farlo, ma la subordina all’avvenuta presentazione della dichiarazione dei Redditi e dell’IRAP da parte del soggetto a credito.
Si verifica allora che il credito maturato al 31 Dicembre 2019 potrà essere usato solo dopo aver presentato la dichiarazione dei redditi riferita a quell’anno e fino ad allora tutti i debiti che scaturissero nel corso del 2020 andranno pagati senza poter ricorrere al credito, che resterà da parte per entrare in gioco solo nella seconda parte dell’anno.
 

Il prestito forzoso

Quindi, fino alla presentazione della dichiarazione dei redditi, l’Erario si farebbe pagare un debito potendo non pagare il proprio, di debito, neppure consentendo la compensazione, e ciò fino al momento di presentazione della denuncia dei redditi, termine che è comunque lui a decidere?
Questo è un aspetto di estrema rilevanza.
Allo Stato potrebbe essere conveniente rimandare il più possibile il termine per la presentazione della denuncia dei redditi, in modo che la compensazione, ovvero l’incasso del credito da parte del contribuente, avvenisse sempre più tardi.
Anzi, ed è ancora più grave, ben potrebbe lo Stato posticipare nell’anno successivo il termine di presentazione della denuncia dei redditi per l’anno precedente, al punto tale che, allo scadere di quest’ultimo, il contribuente non avesse più imposte da pagare e quindi compensazioni da effettuare.
Per l’eventuale credito esistente al 31 Dicembre 2019, non vi sarebbe allora nessuna possibilità di utilizzo in compensazione nel 2020, ma la stessa potrà realizzarsi, forse, nel 2021, cioè a oltre un anno di distanza dalla sua formazione.
Siamo in presenza del solito trucco rispetto al quale lo Stato non è nuovo, ovvero generare in suo favore dei prestiti forzosi, dal ritardo nei pagamenti da parte delle amministrazioni pubbliche a quello sulla erogazione di finanziamenti alle imprese, fino ad arrivare a quest’ultima novità.
 

Ma qual è il vantaggio per le casse dello Stato?

In realtà nessuno, se non un aumento di cassa nella prima parte dell’anno in corso, o di gran parte dell’anno in corso, se solo rimandasse quasi a fine anno, come ha fatto nel 2019, anno nel quale il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi dell’anno 2018 era il 5 Dicembre e addirittura i primi di marzo 2020, se un soggetto la presentasse nei 90 giorni successivi alla scadenza originale, pagando una sanzione minimale.
Una volta presentata la dichiarazione dei redditi da parte del contribuente, con conseguente decorrenza del diritto per questi di utilizzare il proprio credito, gli incassi erariali si ridurranno di colpo fino a pareggiare quanto incassato in più in precedenza.
 

Cosa possono fare le imprese ed i professionisti per difendersi?

Lo Stato ha fatto una scelta di campo, danneggiare le imprese a vantaggio di altre categorie di soggetti.
Se pensiamo che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro si vedono la qualità e l’incostituzionalità (tollerata da chi dovrebbe opporvisi) delle scelte governative.
L’impresa deve però sopravvivere e per sopravvivere deve prima di tutto conservare flussi di cassa positivi.
E’ inaccettabile un prestito forzoso di tale fatta e soprattutto che il debitore decida quando pagare.
Il mantenimento di un flusso finanziario positivo è esigenza primaria, come detto, che va perseguita a ogni costo, anche subendo sanzioni ingiuste a fronte di comportamenti vessatori.
 

E i privati, quelli che non hanno imprese?

A questo proposito bisogna avere presente che esiste un fenomeno che va sotto il nome di “Traslazione di Imposta “.
E’ un fenomeno notissimo e teorizzato per effetto del quale il commerciante, il professionista, l’artigiano, l’imprenditore piccolo o grande che sia, cerca di traslare, cioè trasferire il più possibile, l’imposta a suo carico in capo al consumatore finale.
L’esempio più evidente è quello dell’IVA, che è un partita di giro (entra ed esce dalle tasche dell’imprenditore per atterrare definitivamente sul consumatore che ne resta l’unico colpito in via definitiva).
Nel nostro caso la traslazione non riguarda tanto il peso di un’imposta, ma di una condizione di illiquidità generata forzatamente, che l’impresa deve fronteggiare.
Il sistema più logico è quello di recuperare tale liquidità presso i clienti.
Nelle relazioni tra imprese, i clienti ribalterebbero le necessità finanziarie sui rispettivi clienti e così via, fino al consumatore finale che patirebbe un aumento verosimile dei prezzi di ciò che acquista.
Questo nel rispetto di un percorso logico che tuttavia trova derive nelle condizioni del mercato, nelle caratteristiche e tipologia della clientela e via dicendo.
 

Il Collegato fiscale prevede una decorrenza specifica per la stretta alle compensazioni?

La decorrenza prevista è il 1 Gennaio 2020.
Già con i pagamenti da fare a metà Gennaio sarà impossibile avvalersi della possibilità di compensare e i problemi di liquidità per le imprese cominceranno a manifestarsi in tutta la loro gravità.
 
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© Questo articolo, a firma di Attilio Sartori, è apparso per la prima volta sul Blog LA MOSSA GIUSTA.
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