Le parole della pandemia e l'influenza sulla realtà economica
Le parole della pandemia
La pandemia ha generato un nuovo lessico, che in un anno è entrato prepotentemente nel linguaggio di tutti i giorni: un lessico che esprime concetti importanti che descrivono una crisi senza precedenti.
In tutta Europa la consapevolezza è ai massimi livelli, in Italia no.
Esiste la concreta possibilità che l’Italia non possa fruire delle risorse che l’Europa le ha messo a disposizione.
Tante parole e molte usate a sproposito
La nostra Europa continua a essere stretta nella morsa di una pandemia, la cui curva appare, ahimè, in crescita, stante la mutazione “Inglese” del virus, che ne ha aumentato la contagiosità ovunque e, per quanto riguarda l’Italia, in particolare in Veneto.
Con il permanere della condizione pandemica sono entrarti nel nostro lessico quotidiano termini totalmente nuovi e, tra questi, alcuni sono legati, più che alla pandemia in quanto tale, alle misure economico-finanziarie messe in atto per fronteggiarla e generare una globale ripresa Europea.
Vediamo e sentiamo in queste periodo persone che fino a ieri al massimo parlavano di “quando poco valesse il due di coppe giocando a briscola”, pontificare riempendosi la bocca di termini come Recovery Fund, Recovery Plan, Resilienza.
Un po’ di chiarezza sulla forma e il contenuto degli interventi
Le economie di tutti i Paesi del mondo hanno risentito e stanno risentendo dell’impatto generato dal coronavirus.
Il primo intervento messo in campo dall’Europa per fronteggiare la crisi pandemica è stato il ricorrere a uno strumento della Banca Centrale Europea, il PEPP: Pandemic Emergency Purchase Program. Grazie a questo sono stati acquistati dalla BCE titoli pubblici e privati emessi dai singoli paesi, attingendo alle casse Europee per 1.850 miliardi.
Tale intervento durerà almeno fino a giugno 2021.
A seguire è stata attivata la linea di credito speciale del Mes (sulla quale si incardina una delle polemiche più strumentali per arrivare alla - stravoluta da alcuni - crisi del Governo Italiano) affiancata dai prestiti del Fondo Sure e della Bei, la Banca Europea per gli Investimenti.
Infine il 21 luglio 2020, il Consiglio Europeo ha approvato la proposta della Commissione per istituire un fondo temporaneo da 750 miliardi di euro che sarà operativo dal 2021 al 2024. Si tratta del Next Generation EU, chiamato impropriamente Recovery Fund.
Il Next Generation EU è un piano emergenziale per far fronte nell’immediato alla crisi economico-finanziaria attuale.
A esso si affiancherà uno strumento ulteriore, che sarà utile nel medio periodo, per consolidare la ripresa avviata con i fondi del Next Generation EU e rafforzare e dare slancio alla ripresa.
Si tratta del “Budget Europeo” che indica il totale dei contributi riservato a ogni Stato membro (a seconda della propria ricchezza), messo a disposizione di 7 anni in 7 anni dalla Banca Centrale.
Con il 31 Dicembre 2020 si è concluso il settennato durante il quale gli interventi operati sono stati riassunti con il termine Horizon 2020.
Ora ci aspettano altri sette anni, dal 2021 al 2027, durante i quali saranno messi a disposizione dalla BCE circa 1.100 miliardi.
Analizziamo gli strumenti più attuali
Partiamo allora dal Next Generation EU (sinonimo di Recovery Fund), che nasce da una vecchia proposta francese elaborata con lo scopo di emettere i Recovery Bond, ovvero titoli di debito con garanzia nel bilancio UE.
Il Next Generation EU, di cui si parla in questi giorni, è esattamente quello della proposta francese, ma con una differenza importante.
L’Unione condivide con tutti gli Stati membri il rischio dell’emissione di propri titoli (che consiste nell’onorarli a scadenza), ma solo guardando al futuro, senza cioè una mutualizzazione del debito passato di ogni stato, ovvero tenendo quest’ultimo da parte, dando quindi la priorità alle necessità di rilancio di tutti gli Stati Europei, tutti ugualmente colpiti dalla pandemia Covid.
Per dare il via libera al Next Generation Eu, il vecchio continente ha dovuto aspettare l’esito del Consiglio Europeo di luglio 2020 nel quale è stato elaborato un piano da 750 miliardi di euro suddivisi in 390 miliardi di sovvenzioni e 360 miliardi di prestiti.
I soldi saranno reperiti grazie all’emissione di titoli di debito garantiti dall’UE, e non dai singoli stati.
Se non fosse stato così, ovvero se i titoli di debito fossero stati emessi dai singoli stati e garantiti dai rispettivi bilanci, le singole emissioni avrebbero avuto un’appetibilità diversa in relazione allo credibilità di ciascuno Stato emittente (certamente massima per la Germania e probabilmente minima per l’Italia).
I diversi paesi si sarebbero trovati nella condizione di vedersi finanziare in misura differente (fino a rischiare di non ottenere dal mercato alcun finanziamento) e quindi messi in condizione di poter reagire in misura differente alla crisi, che è dell’Europa, ovvero di tutti i singoli stati che compongono l’Unione, in base a misure e secondo velocità diverse, compromettendo, per tutti gli Stati, l’uniformità della ripresa, che deve essere tale per essere efficace.
Un elemento cruciale: chi comprerà i titoli emessi dalla UE?
Il Next Generation EU si presenta quindi come un “contenitore pieno di Euro ma anche di debiti”.
Il recupero delle risorse per riempire il contenitore non si realizza battendo carta moneta, ovvero facendo lavorare la Zecca europea per stampare Euro.
Se mai qualcuno potesse pensare che bastasse fare così sarebbe semplicemente un pazzo, perché il valore di ogni euro “sfornato” si abbasserebbe al punto che la massa di miliardi “fior di conio” che avesse riempito il contenitore varrebbe zero. Al contrario, fortunatamente, il contenuto sarà di valore, perché a riempirlo di valuta “pesante” saranno coloro che, avendone le risorse, acquisteranno i titoli emessi dalla UE.
Come disporrà l’Unione europea in ordine al collocamento di questi titoli?
Alcuni sostengono che ad acquistare i bond europei saranno, come per gli altri titoli di credito, le banche, i fondi comuni d’investimento, gli ETF, le compagnie assicurative, le fondazioni bancarie, i singoli risparmiatori.
Tutti soggetti che riceveranno in cambio, oltre al capitale a scadenza, un tasso di interesse mediante le cedole periodiche.
Non voglio pensare che questa sia alla fine la principale modalità di raccolta del denaro da parte dell’Europa, perché vorrebbe semplicemente dire aver convinto, con la promessa di cedole gratificanti, le oligarchie, ovvero “gruppi ristretti di persone che esercitano, generalmente a proprio vantaggio, un’influenza preponderante o una supremazia, in istituzioni, organizzazioni ed enti economici” [Fonte: definizione da Treccani online] ad aprire i propri forzieri. Sarebbe come dire “i soldi per la ripresa ci sono e li abbiamo in Europa, basta convincere quelli che li tengono in tasca a tirarli fuori, pagando loro ricche prebende”.
Business is Business, ma…
Ho sempre sostenuto che il “Business è Business”, ovvero non è né buono né cattivo.
In logica di Business lo scenario appena descritto ci starebbe benissimo.
Ma anche se non è né buono né cattivo, il Business può essere infame e ottuso.
L’infamia consiste nello stare a guardare, a braccia conserte, la disgregazione di un sistema economico e civile. L’ottusità nel non capire che alla disgregazione di quest’ultimo corrisponde l’annullamento delle ricchezze, che non serviranno più a nulla non essendoci più nulla.
Penso invece che, quanto meno la parte più sostanziosa della mega-emissione dei titoli del debito europeo, sarà oggetto di trattative dirette tra la Banca Centrale Europea e quelle dei paesi extra europei che abbiano le risorse per acquistare i Bond emessi dalla Bce.
Quali paesi potrebbero sopportare il rischio connesso al finanziamento?
Quali sono i paesi le cui Banche Centrali dispongono delle risorse per acquistare i titoli dell’Unione e hanno economie talmente forti da sopportare il rischio connesso al finanziamento?
Non credo sia difficile pensare alla Cina, alla Russia, ai paesi del medio Oriente, ai paesi Arabi.
Certamente le risorse lì ci sono, come anche l’interesse ad acquistare il debito pubblico dell’Europa.
Il tornaconto per tali paesi non sarebbe tanto negli interessi che verrebbero loro corrisposti - che pure sarebbero voci importantissime nei rispettivi bilanci - quanto nel controllo che potrebbero esercitare nei confronti dei paesi dei quali avessero in mano il debito pubblico.
È una regola generale che vale ovunque e in qualsiasi situazione.
Ogni qualvolta il creditore concentri su di sé gran parte dei debiti del finanziato, egli può esercitare una forza “leonina” su quest’ultimo, imponendogli scelte e comportamenti, finanche pretendendo il saldo immediato del proprio credito.
Per le imprese questo si traduce nel fallimento. Per gli Stati è diverso, perché non falliscono come le imprese, ma diventano vassalli dei propri creditori.
Una condizione non diversa nella quale si venisse a trovare un paese, che per aver perso una guerra, si trovasse invaso dal vincitore.
Le guerre non esistono più. Sarà vero?
Esistono eccome, e sono cruente, con morti, feriti e distruzioni.
Tuttavia, per quante siano, non sono quelle più devastanti, come quelle mondiali del secolo scorso.
Le guerre del terzo millennio sono quelle che si giocano nei mercati finanziari, nella gestione delle informazioni violando i sistemi informatici, nel mercato imponendo dazi o restrizioni alla normale circolazione di beni e servizi.
Operando in questi ambiti, il controllo di un paese passerà di mano in mano per finire in quelle di chi ha vinto la guerra economica, finanziaria e commerciale, e che da quel momento potrà imporre agli sconfitti ogni regola: morale, civile, economica.
Cos’è il Recovery Plan?
Il Next Generation Eu è un contenitore pieno di Euro.
Vi è la necessità di svuotarlo, utilizzando un dispositivo efficace che assegni linee guida e priorità di spesa valide per ogni paese, in modo che sia la Commissione Europea a stabilire i criteri con cui valutare la validità dei piani proposti da ogni stato membro, secondo un regolamento intitolato Recovery and Resilience Facility Plan.
Per brevità, l’espressione viene contratta in Recovery Plan, come dire la prima e l’ultima parola saltando quelle in mezzo.
Le solite semplificazioni operate da giornalisti ignoranti, perché la contrazione operata snatura il significato che il termine Inglese, nella sua totalità, vuole esprimere.
Ogni paese, per ottenere le risorse che il Next Generation EU gli ha messo a disposizione, deve delineare con precisione le modalità di spesa ovvero deve elaborare il proprio Recovery Plan nel rispetto delle regole imposte dal Recovery and Resilience Facility Plan.
Noi Italiani e i nostri indecifrabili acronimi
In Italia il Recovery and Resilience Facility Plan si chiama “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR)”.
È troppo complicato per noi Italiani usare proprio tutti i termini inglesi che il lessico della pandemia ci impone e quindi cerchiamo di tradurne qualcuno in italiano e magari anche di affiancargli un acronimo che, stante l’origine latina della nostra lingua, si trasforma in una bestialità.
PNRR è l’acronimo che, se non è seguito dalla spiegazione, diventa indecifrabile.
Lasciamo gli acronimi alle lingue di matrice anglosassone e facciamoli fare in particolare agli Americani che in questo sono bravissimi.
E poi c’è quella parola ”resilienza”, purtroppo centrale, per dare un significato compiuto all’espressione, ma che da noi ha vari significati e per questo mal si presta a un utilizzo tecnico-economico, possibile solo nella lingua Inglese.
Ma dobbiamo fare di necessità virtù, ed ecco che siamo stati costretti a estendere i sinonimi di questa parola, così particolare per noi, includendovi: capacità di ripresa, resistenza, tenuta.
Una traduzione più o meno corretta potrebbe essere allora: Piano Nazionale per la Ripresa, la Tenuta e la Resistenza.
Come dire, un piano in grado di assicurare una ripresa non effimera, ma duratura nel tempo perché dotata di un grado di tenuta elevato e di resistenza agli imprevisti ed alle avversità.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR): dove cercare informazioni
Tra i Paesi che sarebbero più avanti nella definizione dei propri Piani ci sono Francia e Germania, ma tra i maggiori beneficiari figurano la Spagna (104 miliardi) e l’Italia (209 miliardi).
Nel web vi è la possibilità di perdersi in blog e siti dedicati a tutti gli aspetti della crisi pandemica e in particolare alle iniziative predisposte dall’Unione e dai singoli Stati, a patto di aver familiarizzato con il nuovo lessico.
Molti di questi siti sono “istituzionali”, ovvero curati dall’Unione Europea o dai diversi Ministeri e Comitati promossi dal Governo Italiano.
Proposta reale o fac-simile di una Legge di Bilancio?
Leggendo la “Proposta” si ha l’impressione di essere di fronte a una specie di Legge di Bilancio.
Rimando al mio precedente articolo “Legge di Bilancio 2021 in un'Italia agonizzante” pubblicato qualche giorno fa nel blog “La mossa giusta”, nel sito dello Studio Associato per verificare come la “ Proposta” non si presenti dissimile.
In pratica appare come la riscrittura, in forma certamente estesa e più articolata, delle linee guida declinate nel Recovery and Resilience Facility Plan.
Non vi si ritrovano enunciazioni particolari, ovvero contenuti tecnico-analitici che spieghino il perché di determinate scelte.
Ciò che è scritto appare come una serie di semplici affermazioni di principio, di buoni propositi, ai quali siamo ormai abituati, con le nostre vergognose Leggi di Bilancio.
E se è solo questo il contenuto, almeno quello attuale, ben si comprende come mai la lotta politica si scateni.
Non ci sono norme tecniche, analisi micro e macroeconomiche delle possibili scelte di sviluppo, centrate su obbiettivi non generici ma analitici.
Se l’analisi fosse accurata sarebbe possibile obbiettarvi solo di sponendo di valutazioni altrettanto analitiche.
PNRR documento politico: molta forma e poca sostanza
Come la Legge di Bilancio si tratta di un documento sostanzialmente a indirizzo politico, che proprio per questo subisce l’attacco, in chiave elettoralistica e di ricerca del consenso, da parte di tutti gli schieramenti.
Anche il PNRR contiene tutti i limiti e genera tutte le conseguenze che ben conosciamo parlando della Legge di Bilancio.
A cominciare dalla sua lunghissima gestazione.
Infatti dal 15 Settembre, giorno in cui la Proposta è stata presentata ai Presidenti di Camera e Senato, ad oggi, sono passati quasi quattro mesi, ma nessun passo in avanti è stato concretamente compiuto.
In realtà una nuova bozza è stata presentata al Consiglio dei Ministri lo scorso 8 Dicembre e un’ultima versione del documento ai primi di gennaio di quest’anno, ma senza che vi siano elementi veramente nuovi rispetto alla Proposta inizialmente presentata.
I macro temi del PNRR
Ne faccio una sintesi per macro temi in modo da dare evidenza della sua struttura.
Nell’ultima versione del documento si definisce il cronoprogramma di realizzazione dei progetti, in base alle priorità e agli obbiettivi.
Entro tali limiti saranno sviluppate le diverse iniziative, che si articoleranno in incentivi (55 mld di euro), investimenti (127 mld), forme ibride (per la restante quota parte).
Le 6 aree di intervento (milestones) e i relativi 17 obiettivi da raggiungere (attraverso specifici interventi) sono per ora i seguenti.
1. Digitalizzazione e innovazione, competitività e cultura
• Digitalizzazione
• Innovazione e sicurezza nella Pubblica Amministrazione
• Innovazione, Competitività, Digitalizzazione 4.0, Internazionalizzazione, Cultura e Turismo
2. Rivoluzione verde e transizione ecologica
• Impresa Verde e Economia Circolare
• Transizione Energetica e Mobilità Sostenibile
• Efficienza energetica e riqualificazione degli edifici
• Tutela del territorio e della risorsa idrica
3. Istruzione e ricerca
• Potenziamento della didattica e del diritto allo studio
• Dalla ricerca all’impresa
4. Infrastrutture per la mobilità sostenibile
• Alta velocità di rete e connessioni stradali sicure
• Intermodalità e logistica integrata.
5. Parità di genere, equità sociale e territoriale
• Parità di genere
• Giovani e Politiche del Lavoro
• Vulnerabilità, Inclusione sociale, Sport
• Interventi speciali di coesione territoriale
6. Salute
• Assistenza di prossimità e telemedicina
• Innovazione, ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria
6 aree tematiche per 17 obbiettivi, ma solo in termini generici
Si parla solo di obbiettivi e aree tematiche in termini generici, nulla di definito e articolato.
Questo è ciò che il Parlamento dovrà vagliare e approvare.
Solo ad approvazione ottenuta sarà elaborato lo schema del Piano di Ripresa e Resilienza, con una previsione razionale e ordinata dei progetti di investimento e riforma.
Il PNRR, nella rappresentazione fattane dal Comitato Interministeriale per gli Affari Europei il 15 Settembre scorso, e da allora in perenne circolazione tra i tavoli i dei segretari dei partiti di maggioranza ed opposizione e costante leva per sollecitare la crisi di governo che oggi appare inevitabile, si propone di acclarare la propria struttura di base dicendo che intende:
Contribuire a risolvere le sfide strategiche del paese
Perseguire delle vere Missioni in nome dello sviluppo del paese
Sviluppare progetti per perseguire le Missioni
Varare politiche di supporto
• Promuovendo investimenti pubblici
• Riformando la Pubblica amministrazione
• Incentivando la Ricerca e sviluppo
• Realizzando la Riforma del Fisco
• Riformando la Giustizia
• Operando la Riforma del Lavoro
A questo punto il PNRR cerca di declinare con delle schede ciò che si propone di fare per realizzare un’impresa talmente ciclopica che si farebbe prima a chiamarla “Riforma integrale dello Stato Italiano”.
Alle Sfide strategiche del paese viene dedicata solo una copertina
Alle Missioni in nome dello sviluppo del paese vengono dedicate 1 copertina e 7 schede
Allo sviluppo dei progetti per seguire le Missioni vengono dedicate 1 copertina e 1 scheda
Alle politiche di supporto sono dedicate 1 copertina e 6 schede.
Buona intenzione batte progettualità
Come si vede, le missioni (ovvero le buone intenzioni) e le politiche di supporto battono i progetti 13 a 1!
E questo perché siamo sempre la solita Italia, dove i buoni propositi si sprecano e le politiche per realizzarli anche; infatti sono solo parole e carte che, come si dice, “si lasciano scrivere”.
Non contano nulla sul piano della crescita e dello sviluppo e, in più, non costano nulla, tanto sono solo parole, ma sono il miglior sistema di comunicazione con la pancia degli elettori.
Dove si gioca la battaglia politica?
È proprio qui che si gioca la battaglia politica.
Si è partiti da parole serie, che riflettono interventi seri per fronteggiare con determinazione e resilienza lo sfacelo economico e sociale che il Covid ha portato e sta portando ancora con maggior virulenza in Europa.
Siamo partiti da parole come Pandemic Emergency Purchase Program, Mes, Fondo Sure, Bei-Banca Europea per gli Investimenti-, Next Generation Eu, Recovery and Resilience Facility Plan per precipitare nell’italianissima “Proposta di Linee Guida per la definizione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”, che riflette in pieno la pochezza delle nostre istituzioni e la loro totale insensibilità ai bisogni del paese, votate come sono al mero tornaconto elettorale.
Il PNRR è un documento politico nella forma e nella sostanza e diventerà un documento tecnico solo una volta approvato dal Parlamento.
Esattamente come la Legge di Bilancio: un documento politico che trova il proprio risvolto tecnico nel collegato fiscale.
E se gli strumenti sono analoghi, poco importa che dagli stessi dipenda la sopravvivenza di un paese o meno.
Tanto le cose andranno avanti bene comunque, dice ognuno dei nostri parlamentari, a patto che si abbia il consenso, che il PNRR, ad esempio, “metta a disposizione della “Tutela del territorio e della risorsa idrica” più risorse a discapito di quelle pensate per il “Potenziamento della didattica e diritto allo studio”, perché è nel territorio e non nella scuola che ci sono i miei bacini elettorali.”.
Spartirsi il bottino
Questa è la parola d’ ordine dei nostri governanti di fronte ad un tesoro di 209 Miliardi Euro.
Cabina di regia?
Stiamo scherzando?
Preoccupato dell’assalto alla diligenza che si sarebbe perpetrata, e si sta perpetrando, nei confronti di un PNRR non ancora approvato dal Parlamento (esattamente come per la Legge di Bilancio nelle more della sua approvazione), il Presidente del Consiglio aveva proposto una gestione condivisa delle risorse del Next Generation UE, basata su una struttura piramidale.
Al vertice ci sarebbe stato il Presidente del Consiglio, affiancato dai membri del Comitato interministeriale per gli Affari europei (CIAE), nel quale avrebbero avuto una posizione di rilievo il Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
A un livello immediatamente inferiore sarebbe stata collocata una squadra di sei funzionari - dei veri e propri super manager - ognuno dei quali delegato a gestire uno dei sei specifici assi di intervento.
Questi sei super manager sarebbero stati responsabili di una squadra di 300 tecnici.
Una scelta, quella del Presidente del Consiglio, forse discutibile, che è stata osteggiata fin dall’inizio, dicendo che così si limitava la sovranità del Parlamento, ma la sovranità della quale parlavano e parlano questi paladini delle regole democratiche è solo quella di avere mano libera per fare man bassa delle risorse europee, senza dover rendere conto a nessuno, ma anzi meritando il plauso dei loro padroni.
Crisi di governo: l’apoteosi della strategia predatoria
Non sono chiari i contenuti dei dictat imposti da alcuni all’interno della maggioranza.
La chiarezza imporrebbe di manifestare la volontà di ostacolare in ogni modo il bene comune a vantaggio del proprio tornaconto, mentre la poca chiarezza consente di dire tutto e il contrario di tutto, fino, addirittura, a paventare, ma senti da che pulpito!, un attacco alla democrazia.
Velocizzare le procedure o perdere i fondi
Il quadro descritto comporta una preoccupazione grandissima: sarà in grado l’Italia di accedere ai fondi del Next Generation EU?
Il Commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni, in un’intervista a “La Repubblica”, ha affermato che “per garantire il successo del Recovery Plan, l’Italia deve introdurre procedure straordinarie, con leggi capaci di accelerare gli investimenti.”.
La preoccupazione che il nostro paese non sia in grado di farlo è stata condivisa dal Ministro dell’Economia Gualtieri, che in un colloquio, sempre con Repubblica, rinforza l’appello dell’Eurocommissario. Il monito lanciato dal titolare del Tesoro è che bisogna dotarsi immediatamente di procedure veloci per definire e realizzare i progetti del Recovery Plan, altrimenti perderemo i soldi messi a disposizione dall’Europa. “Io sono totalmente d’accordo con Paolo” (Gentiloni) - chiarisce ancora (Gualtieri) – “anche perché alcuni dei rischi sollevati sono esattamente quelli che io sto cercando di illustrare da settimane.”.
Il Ministro del Tesoro non ha dubbi quando afferma, “se non facciamo le opere e gli investimenti nei tempi e secondo i criteri indicati, non è che riceviamo i soldi in ritardo. Li perdiamo proprio. Non funziona come per i fondi ordinari. Se non realizziamo i progetti, perdiamo i soldi. E paradossalmente li perdiamo doppiamente” - aggiunge – “perché il meccanismo prevede che noi li anticipiamo e poi ce li rimborsino. E il tutto avviene secondo un calendario di verifiche che procede in base ad una serie di ‘milestones’, ossia di traguardi intermedi. Lo stesso risultato negativo”, continua il ministro, “si ottiene se gli stanziamenti “vengono spesi male.”.
Per questo, “il successo dell’operazione”, spiega, “passa esattamente dall’esigenza di identificare corsie preferenziali sulle procedure coinvolte nell’uso del Recovery. Bisogna chiarire quali possano essere le innovazioni procedurali. Di questo abbiamo bisogno.”.
30 Aprile 2021: ultima spiaggia
Il 17 settembre 2020, la Commissione Europea ha presentato gli orientamenti per il Recovery and Resilience Facility Plan e un modello standard per la presentazione di tali piani da parte dei singoli stati. Il termine per la presentazione dei Piani nazionali di ripresa e resilienza è il 30 aprile 2021.
Oggi, data nella quale sto ultimando questo articolo, è il 12 Gennaio.
Ci sono 107 giorni prima che scadano i termini per la presentazione del PNRR nazionale e l’Italia rischia di trovarsi sola e fuori dal Next Generation EU.
I nostri governanti nel frattempo litigano in piena logica di palazzo e minacciano una crisi.
Un salto nel buio più assoluto che farà solamente perdere il poco tempo a disposizione.
Se poi la crisi sfociasse in nuove elezioni mai vi sarebbe la possibilità di rispettare la tempistica prevista da Bruxelles.
Non sono i nostri partners europei a essere cattivi con noi.
Non sono cattivi se impongono regole uguali per tutti e non lasciano che l’Italia vi possa derogare.
Sono solo seri e preoccupati di fare le cose bene e velocemente, al fine di raggiungere un obbiettivo per loro fondamentale e (a quanto pare) per i nostri governanti trascurabilissimo.
Salvare il nostro sistema economico e sociale dalla devastazione pandemica.
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