Finalmente è stata approvata dal Parlamento la Legge di Bilancio, che si presenta come una Cornucopia piena di frutti e fiori.
Svuotiamola, allora, e sbucciamone qualche frutto.
Ho già iniziato con quello dell’abolizione dell’Irap… ma non per tutti.
Potete leggere l'articolo che ho scritto su questo tema
e che trovate nel sito dello Studio Associato MSC
Se ne è parlato e discusso tantissimo.
Si è parlato ”pomposamente” di “Riforma Fiscale”.
Non so se il provvedimento compreso nella Legge di Bilancio sia solo il primo di una serie di interventi che seguiranno.
Quel che è certo è che siamo in presenza solo di una modesta riformulazione della “curva dell’Irpef”, ovvero delle percentuali di imposta applicate ai diversi scaglioni di reddito, a loro volta rimodulati, e poco altro.
L’appellativo di “Riforme Fiscali” può essere riconosciuto solo ai provvedimenti che, per l’importanza delle regole introdotte, sono stati in grado di incidere e modificare radicalmente le abitudini di tutti noi sul piano fiscale e tributario.
Il primo provvedimento, giustamente definito come “La grande Riforma Tributaria”, è stato varato con la Legge 825 del 9 Ottobre 1971 che ha introdotto il sistema tributario come noi lo conosciamo che, per quanto imperfetto, è comunque rivoluzionario rispetto a quello preesistente.
Dopo anni di studi e di progetti si giunse alla conclusione di emanare una legge che stabilisse i punti essenziali di una grande riforma tributaria e i criteri per la realizzazione della stessa, demandando poi all'amministrazione del Ministero delle Finanze la stesura dei singoli provvedimenti nella forma dei decreti delegati.
Si doveva riformare un sistema arcaico, profondamente sperequato e frazionato.
Accanto all'imposta generale sul reddito, all'interno della quale convivevano l'imposta sui redditi dei terreni, sui fabbricati urbani, sui redditi mobiliari e sui redditi agrari, diverse imposte gravavano sugli affari e sui consumi, accompagnate da una serie di sovrimposte comunali e provinciali.
Nel 1973 oltre metà del gettito delle imposte sul patrimonio e sul reddito era garantito dall'imposta di ricchezza mobile, mentre l'imposizione indiretta faceva capo all' “Ige” secondo un sistema di determinazione centralizzato che lasciava spazio a malversazioni di ogni tipo e a un livello di corruzione dei funzionari pubblici diventato insostenibile.
Fu così emanata la Legge n. 825 del 9 ottobre 1971 per introdurre le disposizioni occorrenti per attuare le riforme «secondo i principi costituzionali del concorso di ognuno in ragione della propria capacità contributiva e della progressività» che hanno consentito la creazione di un sistema fiscale di massa basato, in sostanza, sull’autoliquidazione delle imposte che è quello che, da allora, ogni anno facciamo presentando i Modelli Unici nei quali dichiariamo all’Erario la misura del nostro reddito imponibile e la conseguente imposta dovuta.
Inizialmente furono pubblicati diciannove decreti, tutti in data 26 ottobre 1972, che introdussero novità assolute come l'imposta sul valore aggiunto, quella comunale sull'incremento di valore degli immobili, modificarono le imposte di registro, introdussero l’imposta sulle successioni, quelle ipotecarie e catastali, l’imposta di bollo, quella sulla pubblicità, le tasse e concessioni governative e la riforma del contenzioso tributario.
Tali provvedimenti entrarono in vigore il 1° gennaio 1973, salvo quello sulla riforma del contenzioso tributario, che trovò faticosa applicazione solo nei primi mesi del 1974.
Un apposito provvedimento (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) raccolse norme comuni in materia di accertamento delle imposte sul reddito, mentre con altri decreti delegati furono dettate le linee fondamentali delle agevolazioni tributarie, furono riformati la riscossione delle imposte dirette e i servizi relativi e furono stabilite disposizioni sulla revisione degli estimi e del classamento del catasto terreni e fabbricati.
Fu creata, infine, l'Anagrafe Tributaria.
Il primo gennaio 1974 furono emanate le disposizioni più importanti, quelle che costituirono il cuore della Grande Riforma Tributaria.
Si tratta delle norme sulle imposte dirette, con la sostituzione delle vecchie imposte reali con quelle nuove sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), delle persone giuridiche (IRPEG) e locale sui redditi (ILOR).
Bruno Visentini nacque a Treviso il 1º agosto del 1914.
Militò nel Partito d'Azione e poi nel Partito Repubblicano del quale fu uno dei principali esponenti accanto a Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini.
Allievo di Ezio Vanoni, fu per due volte Ministro delle Finanze, rinnovando la struttura amministrativa del ministero e riformando profondamente il sistema fiscale.
Morì a Roma il 13 febbraio 1995.
È stato uno dei padri della Grande Riforma Tributaria del 1971.
Bruno Visentini, infatti, fece parte, fin dal suo insediamento nel 1962, della Commissione di Studio per la Riforma Tributaria e, poi, del Comitato di Studio per l'attuazione della Riforma Tributaria, istituito il 18 settembre 1964.
La centralità di Bruno Visentini nell'attuazione della Riforma Tributaria del '71 ha certamente un significato storico-politico, ma ancora di più una fondamentale valenza nella pratica scrittura del nostro sistema fiscale.
Va detto, infatti, che il nostro sistema fiscale attuale risulta ancora, nei suoi tratti essenziali, quello disegnato dalla riforma del '71.
La sua configurazione pratica, però, è quella delineatasi negli anni della sua attuazione (che vanno dal 1972 fino all'emanazione del testo unico delle imposte sui redditi del 1986) durante i quali, anche per opera di Visentini, che più volte ebbe il ruolo di ministro delle Finanze, il sistema si è venuto definitivamente a delineare.
Insomma, il sistema fiscale che oggi conosciamo non è tanto quello della legge delega del '71, quanto quello prospettato nella sua fase di attuazione.
Una riforma coraggiosa, con diversi aspetti problematici e una sorta di vulnus di partenza, forse inevitabile: il primo condono.
Quando il sistema modifica se stesso così radicalmente, si presenta l'indubbia necessità di consentire ai contribuenti di poter sanare le vecchie posizioni.
È quello che certi nostri politici attuali hanno invocato e invocano ogni volta che, per motivi elettoralistici, ci fosse stato, o ci fosse, un pretesto per farlo.
Come accade in questo periodo con la pandemia COVID, che ha a che fare con il sistema tributario solo indirettamente, mentre è diretta la relazione con quello sociale e sanitario, ma si pretende sia di per se stessa sufficiente a giustificare l’ennesimo condono su vasta scala (diverso dal condono “strisciante”, a vantaggio di ben precise categorie di soggetti, che è invece una presenza costante nel nostro sistema tributario).
Dalla data del primo condono ad oggi sono passati quasi quarant’anni, nel corso dei quali i condoni fiscali (palesi e striscianti), le sanatorie edilizie e previdenziali si sono ripetuti senza fine, arrecando un danno per molti versi irreversibile alla credibilità dello Stato.
In particolare nei confronti della Unione Europea, che altro non aspetterebbe per bloccare i fondi che finanziano il PNRR Italiano, se non che perseverassimo nel concedere scappatoie a chi non rispetta le regole tributarie istituendo un altro condono (o “sanatoria” come si pretende di rinominarlo, sempre rispettando la devastante e invalsa logica, che pervade il “Sistema Italia”, del far prevalere la forma sulla sostanza).
Dopo la Grande Riforma Tributaria furono ancora di Visentini altre Leggi divenute, poi, famose: la “Legge Visentini” e la “Visentini Bis”.
La "Legge Visentini" del 1975 e la "Visentini-bis" del 1983, riformarono, tra le altre, le norme per la stesura dei bilanci societari.
Con il duplice strumento di un limite all'entità delle riserve e di loro trasparenza, con l'obbligo di evidenziarle a parte nel bilancio delle società, queste riforme contabili hanno contrastato la creazione di conti per nascondere utili all'erario, o la creazione di fondi neri, di cui agli azionisti non fosse nota l'esistenza e tanto meno la destinazione.
Le riforme hanno assunto un ruolo importante nel settore bancario, dove l'ammontare di queste riserve era particolarmente consistente, così come un uso dei fondi estraneo alla mera attività d'impresa.
La Legge 17 Febbraio 1985 n. 17, la cosiddetta “Visentini Ter” introdusse un sistema di prelievo su base forfettaria, per determinate categorie di imprese, riferito non solo al volume di ricavi dichiarato, ma a anche a quanto oggetto di determinazione con criteri induttivi.
Si ridimensionava così la “sacralità” delle scritture contabili come parametro unico per la determinazione del reddito imponibile, per affermare come la particolarità dell’attività svolta dalle imprese più piccole imponesse per esse la sua determinazione applicando criteri forfettari, come tali indipendenti dalle risultanze contabili.
Non solo, si affermava anche il principio secondo il quale il reddito dichiarato fosse solo “tendenziale” e, pertanto, la possibilità per esso di essere induttivamente rideterminato.
La Grande Riforma Tributaria del 1971, la Legge Visentini del 1973, la Legge Visentini Bis e Ter rispettivamente del 1983 e 1985 sono norme che, a buon diritto, meritano di essere considerate come autrici di Riforme Fiscali meritevoli di tale appellativo.
Nulla a che vedere con quanto rappresentatoci nella Legge di Bilancio 2022, che interviene in maniera modesta nella semplice rimodulazione della cosiddetta “curva dell’Irpef” e rideterminazione delle detrazioni di imposta.
Sono stati i “media”, con la loro esigenza di semplificazione e clamore in presenza di una pochezza culturale disarmante, a introdurre la terminologia usata.
Un’espressione poi ripresa dai partiti politici per esaltare il loro ruolo nel sostenere o abbattere un provvedimento di per sé modestissimo quanto a contenuto e limitato quanto agli effetti che andrà a produrre.
Solo un nome altisonante attribuito al provvedimento, come Riforma Fiscale, avrebbe consentito loro, infatti, di presentarsi come strenui difensori degli interessi delle rispettive basi elettorali.
Analogamente è avvenuto per le forze sindacali, che sul tema hanno organizzato addirittura uno sciopero generale.
Non certamente per opporsi a norme oggettivamente di poco favore e neppure per pretenderne, se non a parole, altre di maggior consistenza, ben sapendo come il contesto economico di enorme criticità non renda disponibili risorse altrimenti inesistenti.
Per i sindacati la questione alla base di tutto è quella di essere stati esclusi dalla “concertazione”, un termine utilizzato per «definire una pratica di governo che tende a operare scelte economiche attraverso una consultazione preventiva delle parti sociali, principalmente sindacati, ma anche associazioni di categoria o appartenenti al terzo settore.».
Nulla a che fare, quindi, con la contestazione per una “Riforma Fiscale” che non esiste, ma per rivendicare una centralità che negli ultimi anni i sindacati hanno perso e vogliono recuperare a ogni costo “concertando” con il governo le sue scelte.
Guardiamo allora i contenuti della “Riforma Fiscale” nella Legge di Bilancio per notare come essa intervenga nella rimodulazione delle “fasce di reddito” e delle aliquote di imposta a ciascuna applicate.
Il reddito di un contribuente ai fini Irpef viene diviso, come fosse una torta, in quattro fette che si chiamano “scaglioni”.
A ogni “scaglione” è applicata una diversa percentuale che definisce il carico di imposta Irpef.
All’interno di ogni scaglione l’aliquota di imposta è fissa, ma essa cresce passando da uno scaglione al successivo per esservi applicata nella nuova misura.
Ciò determina un aumento, per l’imposta, non lineare ma progressivo.
Ecco, allora, le nuove percentuali d’imposta Irpef da applicare ai nuovi scaglioni di reddito:
A quanto sopra si affianca una revisione della misura delle deduzioni spettanti, a fronte del percepimento di redditi di lavoro dipendente e assimilato e un riallineamento delle addizionali regionali e comunali alle nuove aliquote Irpef e ai quattro nuovi scaglioni di reddito.
Il risparmio di imposta generato dagli effetti combinati di rideterminazione degli scaglioni di reddito e dalla misura delle aliquote di imposta applicate, con la rideterminazione delle deduzioni di imposta spettanti per la produzione del reddito, genera un risparmio di imposta Irpef, nelle fasce di reddito comprese tra €. 13.000 e €. 40.000, che, approssimativamente, va dai €. 120 ai €. 1.350.
Non è poca cosa, ma certamente non tale da far chiamare una norma di tale impatto “Riforma Fiscale”.
Esattamente come per l’Irap, la cui abolizione parziale decorre dal periodo di imposta 2022, anche la nuova curva dell’Irpef e la nuova misura delle deduzioni decorrono dallo stesso periodo.
I pieni effetti si apprezzeranno, quindi, in occasione della dichiarazione dei redditi da presentare nel 2023 riferita ai redditi del 2022.
Un beneficio lo si potrà, però, già avere in occasione della determinazione degli acconti di imposta per il 2022, che saranno dovuti alla volta di Agosto e Novembre di quest’ anno, che potranno essere parametrati su una minor imposta dovuta e pertanto, a parità di tutte le condizioni, inferiore.