Quello di cui si parla ogni giorno ormai da mesi è di come i prezzi continuino ad aumentare.
Si dice che scarseggino le materie prime, le merci, l’energia, e si sostiene che questo sia la causa dell’impennata dei prezzi.
Si dice che queste carenze siano provocate dalla guerra in Ucraina, senza la quale - se mai ci fosse stata una crescita nei prezzi - mai sarebbe avvenuta nella misura oggi sperimentata.
Si parla di speculazione, si assiste all’ aumento dei tassi di interesse.
Ma sarà proprio così?
Se lo scenario è quello inflazionistico, cosa si intende per inflazione?
Quali sono le cause scatenanti, i rapporti di causa effetto?
Cosa dobbiamo aspettarci?
Credo sia il punto di partenza di una qualsiasi riflessione su questo tema.
In pratica la definizione di inflazione si ricava dalla osservazione di quella che è, cioè «l'aumento generalizzato e prolungato dei prezzi che porta alla diminuzione del potere d'acquisto della moneta e quindi del valore reale di tutte le grandezze monetarie.».
Tradotto in parole povere, si tratta di una condizione per la quale gli stessi beni e servizi, acquistati nelle stesse quantità, costano ora molto di più di quanto non fosse solo pochi mesi o settimane fa.
Le entrate delle famiglie sono però sempre le stesse e se già era difficile coprire con esse tutte le spese prima, farlo ora, che queste ultime sono aumentate in maniera esponenziale, diventa in molti casi impossibile.
L’inflazione nasce nei mercati che, da sempre ma al giorno d’oggi ancora di più, non sono solo quella sequenza di bancarelle che espongono di tutto e dove chiunque può dare sfogo alle proprie compulsioni all’acquisto, ma molto altro.
Anche quelli sono mercati, certo, ma qui “contano” quelli digitali, dove impera la Blockchain, la contrattazione on line, dove si scambiano quantità inimmaginabili di merci e capitali tra soggetti di tutto il mondo.
Nei mercati, anche in quelli sotto casa, si assiste alla contrapposizione tra l’offerta di beni e servizi da parte di chi ne dispone e la domanda da parte di coloro che di essi hanno bisogno.
Tale contrapposizione trova il proprio punto di naturale equilibrio quando la domanda e l’offerta si bilanciano.
E poiché non si applica più il baratto, che farebbe dire che domanda e offerta si bilanciano quando per avere tre capponi ci si accorda di dare in cambio quattro polli, si utilizza una unità di misura convenzionale, al posto di polli e capponi, che è la valuta.
Una certa quantità di valuta data in cambio di beni e o servizi è il prezzo della transazione.
Il prezzo non ha nulla a che vedere con il valore intrinseco di un bene o servizio.
Un bene o un servizio, di qualunque tipo, può avere un valore intrinseco elevatissimo ma se il mercato non lo riconosce, il prezzo potrà essere bassissimo.
Maggiore è la necessità di vendere determinati beni e servizi e inferiore sarà il prezzo di offerta.
Esattamente al contrario, maggiore sarà la necessità di disporre di quei determinati beni o servizi e maggiore sarà il prezzo che si sarà disposti a pagare per essi.
Questo processo di bilanciamento tra domanda e offerta e la correlata definizione del prezzo, non sono né automatici, né esenti da patologie, come invece pensavano gli economisti classici.
Può infatti incepparsi, e quando lo fa non si può restare indifferenti sperando che si sblocchi da solo.
Le cause che lo possono inceppare appartengono a due categorie:
- le cause interne
- le cause esterne
Le prime, di natura oggettiva, ci riportano all’ inflazione nella sua caratterizzazione tipica, dove a una scarsità fisica di beni e servizi, che ne limitano l’offerta, si contrappone una domanda robusta che sarà disposta a pagare per essi prezzi sempre maggiori.
Le seconde sono sganciate da un qualsiasi fattore oggettivo ma influenzate da circostanze ambientali sulle quali fa leva la speculazione.
Un’inflazione che abbia come causa scatenante un’ondata speculativa si manifesta indipendentemente dalla scarsità dell’offerta o eccesso della domanda.
La speculazione, e con essa l’inflazione che favorisce, fanno leva sulla situazione di incertezza e sul panico che la speculazione diffonde.
Uno scenario incerto, come quello determinato dalla guerra in Ucraina, è privo di punti di riferimento, non è suscettibile di previsione, di valutazione, né di analisi degli effetti che può generare.
L’incertezza consente agli speculatori di forzare le “naturali” dinamiche del processo di allineamento tra domanda e offerta, piegandole al loro desiderio di profitto.
Negli Stati Uniti la causa dell’inflazione è in piccola parte la speculazione mentre è predominante quella della scarsità dell’offerta a fronte di una domanda robusta.
In Europa la causa è invece essenzialmente speculativa, sostengono gli esperti, perché se è vero che la guerra in Ucraina ha certamente limitato i flussi di gas provenienti dalla Russia, è anche vero che la variazione dei prezzi dell’energia segue un andamento che non rispecchia le effettive contrazioni dell’offerta a parità di domanda.
Ora, poi, il prezzo del gas è addirittura ai suoi minimi da mesi, ben inferiore a quello praticato quando ancora i flussi di gas russo erano consistenti e la loro contrazione solamente minacciata.
Analogamente accade per i prezzi delle materie prime, per le quali si registrava un aumento ben prima che la situazione geopolitica degenerasse e che ora, in una situazione di massima tensione internazionale, si sono ridotti.
Nei mercati non si scambiano solamente immense quantità di beni e servizi, ma anche titoli, che siano quote azionarie, partecipazioni a fondi di investimento, titoli di credito, contratti,
anche per essi il punto di equilibrio tra domanda e offerta determina un prezzo.
Parlando di “contratti”, il prezzo dei “Future” meglio di altri incarna gli effetti della speculazione.
I “Future” sono contratti con i quali si acquistano, parlando di energia, quantitativi di gas ad un prezzo che viene fissato immediatamente, mentre la consegna avverrà a una certa scadenza futura.
Se si ritiene che il prezzo del gas sia destinato a crescere, si avrà interesse a fissare il prezzo di una fornitura futura sin da ora.
Si farà ciò perché si ritiene, in logica speculativa, che si potrà guadagnare molto avendo a disposizione una partita di gas, acquistato a poco prezzo, quello di oggi, che potrà essere venduta a quello che si scommette sarà in futuro un prezzo molto più alto.
Se l’andamento del mercato dei “Future” nel mercato dell’energia si presenta positivo, è perché esiste un’aspettativa per un aumento dei prezzi di gas, petrolio, energia elettrica. Tanto basta a provocare l’aumento del prezzo in tutte le transazioni, non solo di quei beni interessati dal fenomeno speculativo, ma anche, “per emulazione” di tutti i beni in maniera generalizzata, anche se non coinvolti dalle tensioni speculative.
Una sorta di “effetto domino” che genererà un prezzo dei beni ben oltre quello che sarebbe “naturale” ovvero figlio dell’allineamento di domanda e offerta non condizionata speculativamente.
Un’inflazione che generi un aumento del prezzo al consumo dei beni di circa il 2% viene ritenuta fisiologica.
Una tensione della domanda sull’offerta è considerata significativa di un mercato sano, viceversa sarebbe in stagnazione.
Gli interventi di contrasto all’inflazione scattano quando la stessa lievita al punto di rappresentare per il sistema una sorta di patologia, una malattia da curare.
L’intervento tipico, e uno dei pochissimi possibili, è quello di intervenire sulla domanda di beni con l’intento di raffreddarla.
Se si riduce la propensione all’acquisto di un certo bene, l’offerta sarà eccessiva e il prezzo calerà perché chi ne dispone, pur di liberarsene, sarà disposto ad accettare per esso un prezzo inferiore.
Per ridurre la propensione all’acquisto bisogna allora incentivare quella al risparmio rendendo quest’ultimo più remunerativo.
Bisogna creare cioè le condizioni per le quali sia preferibile investire il denaro in titoli del debito pubblico, in certificati di deposito o in altri prodotti finanziari a rischio bassissimo piuttosto che utilizzarlo nell’acquisto di beni.
Questa è la politica che le Banche Centrali dei vari Stati in Europa e la Federal Reserve Statunitense stanno attuando.
Non a caso i Buoni Ordinari del Tesoro (i BOT), dopo essere stati snobbati per anni stante i loro rendimenti addirittura negativi, sono ora richiesti con rendimenti decennali superiori al 5,5%.
In questo scenario non sono solo i risparmiatori privati a preferire titoli diventati remunerativi, ma anche gli istituti di credito che trovano meno rischioso e più conveniente acquistare debito pubblico piuttosto che finanziare le aziende.
E, alla fine, anche queste ultime le quali, piuttosto che investire le risorse disponibili nel proprio sviluppo, stante la situazione di incertezza attuale, preferiscono la sicurezza di una gestione finanziaria a basso rischio.
Ma se i risparmi vengono remunerati, i finanziamenti avvengono a costi crescenti sia per le famiglie che per le imprese arrivando a livelli insostenibili.
Il processo può quindi essere distruttivo perché a una riduzione della domanda indotta dall’aumento dei tassi di interesse può far seguito una flessione nell’offerta a motivo di una sorta di declino industriale indotto, a cui potrebbe aggiungersi una flessione ulteriore della domanda determinata dalla difficoltà crescente di accesso al credito.
Un processo che ben potrebbe portare a quella che si definisce, con giustissima preoccupazione, recessione.
Esistono dei beni per i quali la domanda si definisce “anelastica”.
Nei loro confronti le politiche monetarie di contenimento della lievitazione del prezzo non hanno un effetto apprezzabile.
Chi commercializza questi beni può contare sul fatto che il bisogno che se ne ha prescinde da quanto costino e un aumento del loro prezzo, se mai ne contraesse la domanda lo farebbe solo marginalmente.
Del gas tutti hanno bisogno indipendentemente dal suo prezzo, esattamente come dell’energia in generale.
Le compagnie che commercializzano questi beni e servizi possono imporre in pratica, come in effetti impongono, i prezzi che desiderano, tutte riunite nelle proprie politiche commerciali, in cartelli dove è la speculazione da esse favorita a fissare il prezzo.
Si parla di extraprofitti, ovvero di immensi guadagni ottenuti pagando a caro prezzo l’energia, finanziando, sotto certi aspetti, la Russia nella sua guerra, e rivendendo l’energia così acquisita a prezzi ancora più alti, esorbitanti, a discapito dell’economia e del benessere di un continente intero.
Tassare gli extraprofitti di queste compagnie costringendole, per questa via, a ristornare i diversi paesi Europei delle conseguenze del loro operato, è solamente una “pia illusione”.