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La Legge Finanziaria è stata approvata a Dicembre.
Abbiamo poi aspettato “IL MILLEPROROGHE”.
In ogni Stato “serio” la legge finanziaria declina le strategie di politica economica e fiscale dei rispettivi governi e, sulla base di queste, il preventivo di spesa e le coperture previste.
In Europa essa, dopo essere stata approvata dal parlamento e “validata” dalla Commissione Europea, diventa un punto fermo.
Non la si tocca più.
In Italia nulla di tutto ciò, perché la legge finanziaria è da sempre una specie di brogliaccio, quasi un bluff.
Un documento assolutamente non definitivo, carico di aspettative e belle promesse del tutto propagandistiche, da presentare a Bruxelles per ottenere il via libera della Comunità Europea ai “conti” del Paese per l’anno a venire.
I nostri governanti sanno bene del “bluff” e che quello che è previsto nella legge finanziaria, se l’intento ultimo di chi l’ha varata non è lo sviluppo del paese, ma la gestione del potere per il potere, va rivisto integralmente per recuperare l’indispensabile consenso delle fasce elettorali di riferimento, che una legge finanziaria accettabile per l’Europa non può in nessun modo privilegiare.
Ecco allora che il “MILLEPROGHE” diventa, si potrebbe dire, la vera legge finanziaria.
In questo provvedimento governativo vengono ripresi i temi originari declinandoli però in maniera diversa, tenendo conto cioè che le norme non devono ispirarsi al “bene comune” ma agli interessi di chi porta i voti.
Quindi, nessuna programmazione, nessuna strategia, nessun impegno, né a medio né tanto meno a lungo termine, nessuna rappresentazione dell’Italia come il governo se la immagina.
Questo richiederebbe scelte di fondo che ben potrebbero essere anche impopolari.
Queste ultime sono zavorre per chi vuole essere agile nel girarsi quando cambiasse il vento.
Se questo deve essere, allora nessuna possibilità che il futuro del Paese (e di tutti noi) venga in qualche modo descritto per essere visibile.
È l’incertezza, che deve dominare.
Non possono vivere nella totale incertezza, ne va della sopravvivenza delle loro imprese e del contributo che esse danno, col loro lavoro, al soddisfacimento dei bisogni del paese.
Il rischio è connaturato all’attività di impresa, ma l’incertezza è altra cosa.
È come procedere nella nebbia più fitta non vedendo nulla, solo sperando che non vi sia un ostacolo che risulta invisibile.
Rischiare, invece, vuol dire vedere davanti a sé e scegliere comportamenti diversi a seconda di quanto si sia disposti a farsi o non farsi male.
Chi gestisce il potere per il potere non vuole che altri scelgano al posto suo.
Ben vengano l’incertezza e la cecità collettiva.
Lui, anche con un solo occhio, avrà una vista d’aquila.
Nella VIDEO INTERVISTA inizio un’analisi di questo contesto, che ha una dinamica rapidissima (la grande distribuzione e la contestazione dei contadini, il concordato preventivo e la lotta all’ inflazione, il patto di stabilità e i pericoli per l’Italia, il Pil abbondantemente inferiore alle aspettative del governo...).
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© Questo articolo, a firma di Attilio Sartori, è apparso per la prima volta sul Blog LA MOSSA GIUSTA.
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