Il Consiglio dei Ministri, nella serata del 25 Gennaio, ha battuto un colpo parlando di Riforma Fiscale.
Ha, infatti, definito le linee guida del “Concordato preventivo biennale” per le Partite Iva che rappresenta uno dei pilastri della Riforma Fiscale che è al centro del programma di governo.
Parlando del “Concordato preventivo biennale” non si tratta tanto di aver “battuto un colpo” ma piuttosto di averlo “battuto una seconda volta”.
Infatti il provvedimento era stato emanato il 3 Novembre 2023.
In quell’occasione ho parlato del Concordato Preventivo Biennale ed espresso il mio giudizio che in seguito è risultato in linea con quello di molti altri consulenti ed esperti.
Secondo il giudizio comune si trattava di un provvedimento sostanzialmente inutile perché di scarso interesse per la ristretta platea di contribuenti cui era destinato, stanti le condizioni di accesso troppo stringenti.
L’intervento di giovedì scorso da parte del Governo ha riguardato, in primis, proprio l’eliminazione di tali limitazioni così da estenderlo ora a una platea immensa.
Professionisti singoli e associati, imprenditori individuali, società di persone e di capitali… tutti…. basta che siano soggetti agli “Indicatori Sintetici di Attività (Isa)”e quindi, come tali, abbiano un volume di compensi o ricavi annuale inferiore a 5.164.569,00 Euro
Un numero enorme di Partite Iva perché, stante la polverizzazione del nostro sistema professionale e industriale-commerciale, sono una moltitudine i professionisti e le imprese che si pongono al di sotto di tale soglia di compensi/ricavi.
Riepiloghiamo il provvedimento ripetendo che esso è stato varato dal Consiglio dei Ministri il 23 Novembre 2023 e che il giorno 25 Gennaio 2024 esso è stato solo messo a punto in particolare ampliando a dismisura i soggetti che possono accedervi.
Tralasciamo la descrizione dei vari tecnicismi che saranno, come al solito, affidati a piattaforme informatiche che l’Agenzia delle Entrate metterà a punto e che dialogheranno con i gestionali di contabilità generale ed elaborazione delle dichiarazioni fiscali utilizzate dai professionisti contabili.
Da tale dialogo informatico l’Agenzia delle Entrate ricaverà “informazioni” e dati.
Li incrocerà con quelli esistenti presso l’”Anagrafe tributaria” (il Grande Fratello che tutto vede e tutto indaga avendo nel Ministero delle Finanze il proprio regista).
Da tutto questo incrociarsi di bit, avvalendosi anche dell’Intelligenza artificiale che evidentemente il Fisco, chi lo avrebbe mai detto, padroneggia in maniera esemplare, emergerà una “proposta“ che potrebbe grossomodo essere di questo tenore:
“Caro contribuente…
Premesso che:
Con queste premesse ti faccio una proposta:
invece di pagare le tasse, come dovresti, sul tuo reddito reale che andrai a dichiarare comunque, ti do la possibilità di farlo su una base diversa, quella cioè che ti proporrò io e che avrò elaborato apposta per te… con l’aiuto dell’intelligenza artificiale.
In pratica, se dichiarerai 100 (e dovresti pagare le imposte sugli stessi 100) lo potrai fare invece su 70, se questa fosse la base imponibile che ti proporrò.
Se lo faremo, il nostro patto durerà due anni, poi si vedrà.
Per i due anni futuri pagherai quindi le tasse su 70, nell’ipotesi fatta, che per te sarà un vantaggio se il tuo reddito reale sarà superiore.
La differenza tra il dichiarato e il prestabilito sarà infatti esentasse, ma sarà uno svantaggio nell’ipotesi inversa.
Questa è l’estrema sintesi del provvedimento che si presta a un bel po’ di osservazioni a caldo.
Il nome assegnato al provvedimento “Concordato preventivo biennale” ben rappresenta il suo contenuto, se non per un particolare.
Si parla di “Concordato” termine che sottintende un contraddittorio tra il Fisco e il contribuente che giunga alla definizione, in questo caso, di una base imponibile biennale prospettica.
Ma è chiaro che questo non sarà, perché la personalizzazione della proposta non potrà che essere informatica.
Un prendere o lasciare che escluderà ogni possibilità di trattativa per motivi oggettivi legati alla massa imponente di coloro con i quali il contraddittorio dovrebbe instaurarsi.
Se l’Amministrazione finanziaria avesse una organizzazione tale da gestire simili masse di contraddittori, ben potrebbe semplicemente procedere negli accertamenti fiscali, che viceversa non fa, per mancanza di capacità, mezzi e organici.
Senza contare il rischio che tali contraddittori finiscano per chiudersi con accordi “sottobanco” tra i funzionari incaricati e il contribuente, abusi invisibili perché annegati in un oceano tempestoso di concordati in corso.
Viceversa, proprio l’uso intensivo della tecnologia informatica potrebbe, in questo caso, essere la vera garanzia di oggettività nell’applicazione nella formulazione del contenuto delle proposte, a patto che siano sottratte a un contraddittorio, come detto, impraticabile se non solo di facciata.
Il provvedimento del Governo cerca di “mettere le mani avanti” sul tema dell’evasione fiscale per rintuzzare da subito la contestazione che il sistema delineato rappresenti un regalo agli evasori.
Lo fa con la ormai vetusta minaccia di concentrare i controlli su chi non aderirà, promettendo invece tranquillità fiscale, per altro solo relativa, a chi o facesse
Una minaccia, quella che il Governa fa che appare oggettivamente sterile e anche irritante, visto che appare indirizzata nei confronti degli onesti, ovvero di coloro che accettano il potenziale contenzioso con il Fisco all’interno di un contraddittorio nel quale non hanno nulla da nascondere.
Viceversa, per i concordatari, sarebbe facile pensare ad una accettazione in ragione della possibilità per essi di “pilotare” il reddito da dichiarare posizionandolo adeguatamente rispetto a quanto Concordato.
Sotto questo profilo, è facile immaginare come, per la quantificazione della proposta, il Fisco non potrebbe che partire dalla analisi della storicità fiscale del contribuente che, in capo all’evasore incallito che l’avesse sempre fatta franca, rappresenterebbe una situazione reddituale ben inferiore al reale.
Intelligenza artificiale a parte, se inferiore al reale fosse la base di calcolo, altrettanto avverrebbe per la misura della proposta che verrà avanzata.
In pratica il comportamento evasivo del passato farà da leva negativa, perché abbasserà la misura del reddito concordabile per il biennio a venire.
In tale periodo, inoltre, il concordatario, se evasore, dovrà continuare a esserlo.
Questo per mantenere bassi i parametri in base ai quali verrà a lui formulata la proposta per il biennio successivo al primo.
Il sistema fiscale si basa sul naturale conflitto di interessi che porta l’acquirente a pretendere che il proprio fornitore emetta la fattura.
L’interesse del secondo a non dichiarare il ricavo si scontra infatti con quello del primo a poter dedurre il costo.
All’interno del sistema del Concordato preventivo biennale ciò potrebbe venire meno.
Infatti il fornitore “concordatario” avrà interesse a non emettere la fattura per far sì che il proprio reddito non ecceda quello Concordato (oltre a mantenere bassa la base di calcolo per la quantificazione della proposta riferita al biennio successivo al primo) e il suo cliente, se ugualmente concordatario, avrà interesse a dedurre costi solo nei limiti di ciò che gli serve per non superare il reddito Concordato.
Non a caso, nella sua prima formulazione, la proposta poteva interessare solo una massa ristretta di contribuenti.
Si voleva evitare un effetto domino che, viceversa, potrebbe innescarsi una volta allargata a dismisura la platea dei possibili aderenti.
Su chi indirizzare allora l’attività di accertamento?
Sarebbe nei confronti dei contribuenti concordatari che dovrebbe essere concentrato l’accertamento, perché è in capo a essi che, per abitudine e, ora, per una ancora maggiore convenienza, si potrebbe concentrare l’evasione.
Viceversa il provvedimento sventola lo spauracchio dell’accertamento in capo ai non concordatari, con ciò facendo una specie di minaccia.
È sempre il solito tema.
L’accertamento sventolato come intervento primario di ogni governo.
Che sia uno spauracchio lo dimostra la storia di tutti i governi succedutisi dalla Riforma Finanziaria del 1971 a oggi e che sempre lo hanno sventolato.
Che sia il solito spauracchio è confermato proprio dal meccanismo proposto che non fa che acclarare l’impossibilità pratica di fare della lotta all’evasione un obbiettivo concretamente attuabile.
Diversamente esso non sarebbe stato proposto, o quanto meno, non nei termini attuali.
Senza contare il danno politico che il governo attuale (al pari di tutti quelli che lo hanno preceduto) patirebbe in termini di ritorno elettorale, che sarebbe compromesso proprio in capo alla fascia di elettorato dove si concentra il principale bacino di voti.
Tuttavia gli introiti fiscali, anche in un paese nel quale l’evasione fiscale è immensa e il recupero fiscale è infinitesimale rispetto al modesto accertato, rappresentano la prima fonte di entrata nel bilancio pubblico.
Per gestire la copertura delle spese l’Amministrazione fiscale deve poter contare su entrate sicure e regolarmente diluite nel tempo.
In mancanza di risorse e mezzi per procedere in una reale attività di accertamento di quanto dichiarato dal contribuente, è allora necessario per il Fisco affidarsi a sistemi automatici che definiscano misure standardizzate del reddito, di fatto replicando in capo a una platea vastissima il meccanismo di determinazione forfettaria del reddito che, per quanto con sistemi diversi, riguardava, fino a oggi, solo la relativamente ristretta platea dei contribuenti in regime forfettario.
La proposta del Fisco, malgrado le sterili minacce che l’accompagnano, consente al contribuente di aderirvi o meno.
È chiaro che la sua potrà essere una scelta di convenienza, ovvero converrà se le aspettative di reddito reale saranno superiori a quello Concordato, potendo contare sulla defiscalizzazione della differenza.
Si tratta allora di fare una previsione biennale prospettica che sia in grado di scontare, in primo luogo, la situazione di totale incertezza nella quale l’imprenditore si trova a operare.
Tutti i motivi che delineano tale situazione sono noti a tutti e ogni giorno se ne aggiungono di nuovi.
È diverso il modo come l’incertezza impatta sulle imprese e la relativa capacità di resilienza, a seconda che queste siano di maggiori o minori dimensioni.
Quelle più grandi, i possono contare sulla loro capitalizzazione e sulla struttura potente e articolata che le contraddistingue, sulla possibile localizzazione in vari paesi, che consente loro compensazioni economiche e finanziarie tra aree diversamente coinvolte da situazioni di crisi, su proiezioni sull’estero che incontrano la finanza agevolata a sostegno, la facilità di accesso al credito presso un sistema bancario che punta su di loro.
Per esse è più facile fare previsioni attendibili perché sono tanti gli strumenti a loro disposizione per riallineare il risultato effettivo a quello atteso.
Per le imprese di minori dimensioni la situazione è completamente diversa.
I piccoli artigiani e commercianti dipendono dalla propensione alla spesa dei loro clienti privati (il loro target normale) i quali, di fronte all’incertezza, agiscono con estrema prudenza e spesso rinviano le spese non indispensabili.
Le imprese, pur minori ma più strutturate, si pongono spesso all’interno di filiere che erogano beni e servizi a committenti molto spesso appartenenti al settore delle imprese di maggiori dimensioni.
Questi ultimi, per scelta o necessità, ben possono intervenire sulla filiera compromettendo le prospettive economiche e finanziarie di coloro che vi appartengono.
Per non parlare di come, per le imprese più piccole, il ricorso al credito sia sempre più costoso e difficoltoso, di come la loro marginalità sia in bilico, se non in calo sistematico, compressa com’è tra costi, di produzione e struttura, sempre maggiori e condizioni di vendita sempre peggiori a causa della sempre più forte aggressione di competitors normalmente più strutturati e spesso provenienti dall’estero.
Senza contare che le imprese più piccole possono patire situazioni che se anche, in assoluto, di rilevanza relativa, rischiano, per esse, di essere devastanti.
Pensiamo alla perdita di un cliente importante e in grado di generare una flessione del fatturato significativa, all’affacciarsi di un nuovo competitor di dimensioni pur similari, ma in grado di fare una politica di prezzi aggressiva che comprometta la tenuta del pacchetto clienti, a errori strategici e ai danni connessi.
Per non parlare delle condizioni di vendita imposte dal cliente (specie se ad esserlo fosse la Grande Distribuzione, o se l’azienda facesse parte di una rete in franchising) in grado di compromettere la redditività, oppure la scelta strategica di accettare commesse a basso ricarico, o in perdita, con lo scopo di acquisire un cliente ritenuto importante, oppure subire commesse in perdita pur di non dover rinunciare ai flussi di cassa che comunque il cliente, con i propri pagamenti, alimenta.
Ma anche per le imprese più dinamiche e ottimiste in relazione al proprio sviluppo, un programma di investimenti che comportasse spese rilevanti di impianto e formazione del personale, potrebbe compromettere, pro-tempore, la redditività aziendale.
L’aumentata misura degli ammortamenti, a fronte degli investimenti fatti, incide a sua volta sulla misura dell’utile, al netto di altre condizioni.
È una questione di prudenza
In questo scenario proprio le imprese più grandi e strutturate, che con più facilità potrebbero elaborare una previsione prospettica biennale attendibile, sono escluse (ma non potrebbe essere diversamente) dal meccanismo che viceversa coinvolge solo che coloro che sul loro futuro non sono in grado di delineare quasi nulla.
È evidente come la prudenza impedisca di accettare una scommessa al buio.
Bisogna tenere presente, infatti, che l’impresa nel suo progredire, come ho rappresentato, dipende sempre meno dalle scelte dell’imprenditore e sempre di più da quelle dei terzi, clienti e competitors, e, più in generale, dagli effetti delle interazioni che si creano continuamente nel mercato in generale e in quello di riferimento in particolare.
Da considerare, inoltre, che l’orizzonte di riferimento è biennale e che se l’andamento previsto in termini di reddito atteso dovesse modificarsi nel corso del tempo, non sarà possibile uscire dal meccanismo subendone le conseguenze, ovvero, a seconda dei casi, godendone i vantaggi, fino al termine dei due anni.
Infine va ricordato che l’imposta comunque dovuta sul maggior reddito Concordato rispetto a quello effettivamente conseguito sarà un costo “secco” per l’impresa che concorrerà, sul piano economico e su quello finanziario, a esporla sempre di più rispetto a una condizione di crisi potenziale.
Chi sarà in grado di pilotare il proprio reddito, normalmente più elevato, allineandolo ai livelli, inferiori, concordati con il Fisco lucrando sulla defiscalizzazione della differenza in meno.
Coloro che, pur non potendo calmierare il proprio reddito in alcun modo, saranno tuttavia in grado definire prospettive economiche e finanziarie certe per almeno un biennio.
Al di fuori di queste ipotesi l’adesione al sistema proposto appare poco prudente
Molto dipenderà dalla misura del reddito concordatario proposta dal Fisco e dalle modifiche che il testo subirà prima di essere definitivamente approvato in Parlamento.
Per ora valgono le considerazioni a caldo che vi ho proposto per poter avviare un importante momento di riflessione.
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© Questo articolo, a firma di Attilio Sartori, è apparso per la prima volta sul Blog LA MOSSA GIUSTA.
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