Collegato Fiscale 2020 e appalti: oneri senza onori per le imprese
Collegato Fiscale 2020: parola d’ordine contrastare le imprese.
Nel Collegato Fiscale il Governo ha scelto di operare con l’intento di rendere impossibile l’attività delle Imprese?
Non si deve generalizzare, esamineremo un po’ alla volta l’intero Collegato Fiscale e vedremo che qualche cosa di positivo per le imprese c’è.
Ma la parte che le contrasta è preponderante e questo perché si è fatta una scelta di campo che non vede al centro della manovra il mondo dell’imprenditoria e delle professioni.
Esse non sono considerate l’elemento trainante non solo della ripresa ma neppure del mantenimento in funzione del volano dello sviluppo.
I settori da tutelare e agevolare quali sono, secondo i nostri governanti?
Va detto che essi non sono chiari, ma certamente una qualche idea comincia a farsi strada se consideriamo l’indefesso impegno al rispetto delle clausole di salvaguardia contro l’aumento dell’IVA.
Le risorse impiegate in questa direzione sono immense ed è lecito domandarsi se non fosse il caso di destinarle allo sviluppo.
Del resto l’IVA è una partita di giro che non incide nella dinamica delle imprese, ma certamente colpisce il consumatore finale.
Ma se a quest’ultimo si ponesse la domanda: “Preferisci rimanere in una condizione di precarietà, di scarsa remunerazione del tuo lavoro, di mancanza di prospettive di sviluppo, oppure accettare l’aumento dell’IVA di tre punti, potendo però contare sulla serenità che deriverebbe da una imprenditoria che può impiegare nello sviluppo quelle risorse viceversa sprecate, garantendoti più opportunità, migliori servizi, una remunerazione maggiore che ti consentirà di sopportare il temporaneo (temporaneo certamente, perché nel medio periodo il sistema ritroverebbe il proprio equilibrio) aumento del prezzo di ciò che acquisti?”.
La risposta sarebbe ovvia, e lo sarebbe tanto di più se solo all’ aumento dell’IVA, che come detto finisce per gravare solo sul consumatore/utilizzatore finale, si accompagnasse, per quest’ultimo, un aumento dei servizi dei quali potesse fruire gratuitamente o delle detrazioni nella sua dichiarazione dei redditi, che viceversa diventano sempre più esigue.
Da qui si intuisce, e la Legge di Bilancio ed il Collegato Fiscale lo confermano, che certamente le imprese e i professionisti vengono visti unicamente quali soggetti dai quali assorbire il massimo gettito fiscale, a discapito di tutte le altre categorie che invece devono essere tutelate nel loro ruolo di consumatori.
Imprese, professionisti e consumatori: chi tutelare?
Ha un senso perseguire questa divisione in settori contrapposti?
Assolutamente no, tanto più che alla base vi è un ragionamento che neppure uno studente di ragioneria alle primissime armi farebbe, ma che invece è un “mantra” per gran parte dei nostri governanti, praticamente da sempre. “Se si aumenta la capacità di spesa di un consumatore o una determinata categoria di consumatori in generale, si genererà un aumento della domanda di beni e servizi. Ciò attiverà un circolo virtuoso perché l’aumento della domanda necessariamente costringerà le imprese ad aumentare l’offerta, e quindi a investire acquistando macchinari e assumendo dipendenti con benefici per tutti:
per le imprese che producono beni e servizi, che non potranno che espandersi aumentando l’occupazione e i propri guadagni, e quindi le imposte da esse pagate in prima persona, nonché da tutti i nuovi assunti, riempendo così le casse del Fisco;
per i consumatori, che avranno maggiori salari e potranno sostenere una domanda che diventerà sempre maggiore, facendo lavorare di più le imprese, che aumenteranno a loro volta investimenti e occupazione e quindi le imposte da esse pagate, così come da chi le rifornisce di beni, merci e servizi, anche loro trascinati nel volano magico, dai nuovi dipendenti occupati;
per lo Stato, che dalla crescita delle imprese e degli occupati ricaverà maggiori imposte dirette, senza contare l’IVA sulle maggiori transazioni, procedendo così al proprio risanamento fino al punto che, una volta risanato il proprio bilancio, potrà addirittura garantire migliori servizi ai cittadini e alle imprese”.
La Legge Tremonti e la mancata quadratura del cerchio. Un esempio istruttivo.
Un tentativo di quadratura del cerchio talmente elementare da essere addirittura ingenuo.
Un esempio clamoroso è stata la “Legge Tremonti” che, a spese dello Stato, ha riempito ogni angolo del nostro territorio di capannoni, ora sfitti o in rovina, senza contare la crescita nella produzione di macchinari e impianti che sono stati realizzati nel pieno dello sviluppo digitale e quindi puntando sull’automazione e con essa alla riduzione del personale addetto.
Gli imprenditori, perché la loro missione in quanto tali è controllare i costi per massimizzare l’utile, acquistavano le macchine con l’agevolazione Tremonti ma le volevano sempre più efficienti, ovvero in grado di fare da sole il lavoro di un numero sempre maggiore di addetti. Altro che aumento dell’occupazione!
Per non parlare dell’incremento del lavoro nero e dell’apertura al mercato globale, che ha dirottato la domanda non sulla produzione nazionale, ma sull’ importazione a basso costo dall’estero.
Tutti elementi che hanno fatto emergere la pochezza del ragionamento di allora, aggravando le conseguenze della crisi che si sarebbe abbattuta sull’intera Europa pochi anni dopo.
In quell’occasione, come avviene anche ora, l’impresa non era presente nel disegno politico, per la pochezza della visione del sistema economico, allora, per scelte di campo ben precise, ora, orientate unicamente alla ricerca di bacini elettorali più vasti, più influenzabili e aggredibili, attraverso la comunicazione social.
Il Sistema Economico Italiano esiste?
Ma il “Sistema Economico Italiano“ per il fatto di essere tale, non dovrebbe contemperare al suo interno norme tutte coordinate in funzione dell’“Obbiettivo crescita” senza viceversa salvaguardare qualcuno a svantaggio di altri?.
Il fatto è che i nostri governanti non conoscono il concetto di “Sistema”.
Una domanda su cosa significhi la parola “Sistema“, della quale si riempiono la bocca quando parlano di “Sistema Economico”, “Sistema Imprenditoriale”, “Sistema Scolastico”, se la sono mai posta?
Non ci vorrebbe molto, basterebbe che si guardassero allo specchio e pensassero che il corpo umano è “un complesso di strutture e di organi affini per origine embriologica o coordinati per una funzione specifica.” [Fonte: Treccani].
Il “coordinamento per una funzione specifica” è il cuore della definizione e ci fa comprendere come ogni iniziativa assunta all’interno del “Sistema Italia” deve potersi coordinare con altre iniziative assunte nello stesso ambito e che assumerne di favorevoli a una determinata categoria di soggetti finisce per danneggiarne altre e viceversa.
Se lo scopo è la crescita, il concetto di “Sistema” è centrale perché ogni iniziativa, stante il proprio coordinamento con tutte le altre, deve puntare a unico obbiettivo, la “funzione specifica” nella definizione, ovvero la crescita del “Sistema Paese”.
Qual è dunque il ruolo delle imprese?
Basta l’esame della Legge di Bilancio e del Collegato Fiscale per rispondere a più di una domanda.
In generale, si è visto come da decenni (almeno dagli anni settanta in avanti) i governi che si sono succeduti non abbiano mai assegnato all’impresa un ruolo centrale e tanto meno strategico.
La manovra economica della quale stiamo parlando non si discosta certamente da quanto fatto in passato.
A parola, ma solo a parole, l’impresa c’è, ma non per perseguire i fini suoi propri.
Le imprese e gli imprenditori possono invece svolgere una funzione importante per la propaganda elettorale, perché sono gli unici soggetti nei confronti dei quali il Governo può pomposamente conclamare di svolgere la “lotta“ all’evasione fiscale.
Infatti fare impresa è diventato sinonimo di “Evasione“, non c’è l’una senza l’altra e viceversa.
La manovra non si propone di far emergere il sommerso, esattamente il contrario.
Come già detto essa è utile agli evasori, perché comunque la parte della manovra che contiene norme in favore delle persone fisiche non imprenditrici riguarda anche loro, e, dal punto di vista imprenditoriale, non li tocca minimamente, stante la loro assoluta opacità.
Fisco, banche dati e malfunzionamento.
Le banche dati che in mano al fisco dovrebbero essere il “Grande Fratello” che controlla tutto e tutti per far emergere ogni forma di evasione.
Purtroppo anche qui siamo in presenza di qualche cosa che non ha spiegazione.
Si dice esistano, ma allora non funzionano.
Il Fisco da queste banche dati, che permettono migliaia di rilevazioni e di incroci di dati, dalla rilevazione dei consumi di servizi all’analisi della natura delle spese di un qualsiasi contribuente, dalla verifica della puntualità nel pagamento delle imposte all’elenco dei clienti e dei fornitori delle aziende, non ricava nulla.
Senza contare che, se anche funzionassero i problemi di incostituzionalità legati alla raccolta dati su abitudini di spesa, tenori di vita, condizioni cliniche dei contribuenti, sarebbero probabilmente tali da rendere i dati teoricamente ricavati del tutto inutilizzabili.
Basti pensare che il Fisco cerca di poter mettere a raffronto i redditi dichiarati dal contribuente con il suo tenore di vita dal lontano 1939, senza mai riuscire a superare l’ostacolo della violazione della privacy del controllato.
La voce “Recupero fiscale grazie al potenziamento della lotta all’evasione”, è una delle voci in entrata più importanti nel bilancio programmatico dello Stato ed è questa voce che consente all’ Italia di passare tra le maglie dei vincoli di bilancio europei.
Si dà infatti per incassato un credito potenziale, quando non esistono strumenti né per quantificarlo né per esigerlo.
A meno che non si voglia far pesare il cento per cento dell’evasione sul cinquanta per cento di contribuenti onesti i quali, parlando di imprese, oltre a subire la concorrenza sleale di concorrenti che possono lavorare senza pagare imposte, senza rispettare norme di sicurezza, approfittando del lavoro nero a condizioni disumane, per questa via proponendosi a prezzi che un’impresa seria mai potrebbe sostenere, diventerebbero il capro espiatorio di un’amministrazione incapace (dolosamente o colposamente) di fare il proprio lavoro.
La lotta all’evasione fiscale è un imbroglio?
Un imbroglio no, perché di evasori ne vengono comunque “beccati”, ma una sorta di millantato credito sì.
Lo Stato ha per proprio obbligo quello di garantire il pagamento delle imposte da parte degli obbligati a farlo e curarne l’incasso.
Queste due funzioni lo Stato non le svolge o lo fa in maniera minimale.
Il personale di cui dispongono gli Uffici dell’Erario è scarso, impreparato, immotivato, incapace di utilizzare le tecnologie, a parole, a sua disposizione.
Ma soprattutto non è in grado di individuare gli evasori veri, quelli che non si vedono.
E’ inaccettabile che il peso, anche morale, dell’evasione, ricada solo su chi le tasse le paga, inventandosi l’Erario motivi di evasione fantasiosi, perseverando temerariamente in liti infinite, sbandierando davanti ai media dati di evasione accertata che non hanno nulla di reale, trattandosi del solo accertato da parte dell’Agenzia delle Entrate e non dell’incassato effettivamente al termine di contenziosi infiniti.
Senza contare il ricatto sistematicamente operato di pretendere dai piccoli imprenditori cifre esorbitanti.
Questi non potranno portare avanti alcun contenzioso per mancanza di mezzi e con loro si arriverà a una conclusione bonaria dove l’imprenditore, che neppure ha potuto difendersi, capitolerà, accettando un ingiusto balzello ma vedrà compromessa, nella generalità dei casi, la sopravvivenza della propria impresa.
I grandi evasori, invece, quelli che evadono l’Erario per milioni e milioni di euro,
quelli sì che possono sostenere contenziosi eterni dai costi esorbitanti al punto che sarà l’Erario stesso a capitolare per primo, perché tali costi saranno troppo elevati anche per lui.
La lotta all’evasione chi la fa?
Se l’Erario non dispone di personale preparato, né in numero sufficiente, chi conduce la lotta all’evasione, tanto sbandierata come momento centrale nella Legge di Bilancio e nel Collegato Fiscale?
La risposta a questa domanda è disarmante. E’ infatti il controllato che fornisce i dati per il controllo al controllore.
E’ il contribuente che si è dovuto e si deve fare carico di una attività di raccolta, controllo, elaborazione di informazioni da trasmettere al fisco, che sulla scorta di quanto comunicatogli attiverà l’azione di recupero.
Gli esempi sono infiniti, ma basti pensare agli ISA (Indicatori Sintetici di Affidabilità) che hanno tormentato i sonni dei contribuenti onesti fino a pochi mesi fa.
Questi, che prima chiamavamo Studi di Settore e prima ancora Parametri, e prima ancora…, altro non sono che raccolte di informazioni affidate al contribuente, a sostegno di indagini volte alla determinazione statistica del reddito possibile in capo all’impresa, dato statistico da confrontare con quello dichiarato per poter instaurare un contenzioso sull’eventuale differenza a vantaggio dell’Erario.
A parte l’incostituzionalità di ogni strumento volto a rilevare statisticamente il reddito di un’impresa o, in generale, di un qualsiasi contribuente, siamo in presenza di informazioni che l’Erario dovrebbe raccogliere in prima persona nel normale svolgimento della sua attività di controllo.
Qui invece si assiste al ribaltamento del peso, amministrativo ed economico, di queste indagini sul contribuente, che viene a svolgere una funzione che non rientra minimamente nelle sue sfere di azione, essendo una funzione pubblica di esclusivo appannaggio Statale.
Ma gli esempi potrebbero continuare quando pensiamo alla comunicazione degli elenchi clienti e fornitori, alla trasmissione telematica della dichiarazione periodica IVA, all’esterometro, fino ad arrivare alla fattura elettronica, che mette a disposizione del fisco le fatture emesse e ricevute ancora prima che ne possa prendere visione il cliente o il fornitore.
Sono le famose banche dati che il fisco non sa usare e che vengono alimentate dai contribuenti invece che da coloro che istituzionalmente lo dovrebbero fare.
Il Collegato Fiscale rincara la dose degli adempimenti.
Nel Collegato Fiscale ci sono ulteriori norme che appesantiscono l’impresa per rilevazioni e accertamenti che sarebbero di esclusiva competenza del fisco?
Naturalmente sì.
Dal 1° gennaio 2020, infatti, una impresa committente che sottoscrivesse un contratto con un’altra impresa per il compimento di opere o servizi di importo complessivo annuo superiore a 200.000 euro (tramite contratti di appalto/subappalto o rapporti negoziati comunque denominati, caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente e con l'utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest'ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma), di fatto diventerà un collaboratore (gratuito) del Fisco e assumerà compiti ausiliari di polizia amministrativo-tributaria, trasformandosi, una volta di più e suo malgrado, a pena di sanzioni, in un informatore ausiliario dell’Agenzia delle Entrate.
In altri termini, le imprese appaltatrici o subappaltatrici effettueranno i versamenti dovuti (con distinte deleghe per ciascun committente e senza alcuna possibilità di compensazione), ma dovrà essere il committente a verificare la correttezza della loro fedeltà fiscale.
Il committente, quindi, diventerà un inserviente del Fisco per effettuare una vera e propria preliquidazione formale del corretto versamento dei tributi altrui e, in caso di riscontrata infedeltà avrà, tra le altre cose, anche l’onere di darne comunicazione, entro 90 giorni, ai controllori di livello superiore, vale a dire all’ufficio delle Entrate territorialmente competente nei suoi confronti. [Fonte: Antonio Zappi, Ipsoa Quotidiano, 30 Dicembre 2019].
Cosa vuol dire “distinte deleghe per ciascun committente e senza alcuna possibilità di compensazione”?
Sono i soliti balzelli aggiuntivi.
Il primo riguarda l’elaborazione di distinti conteggi e modelli di pagamento in relazione ai diversi appalti distinguendoli per committente. Ad esempio, se un’impresa edile prendesse in appalto lavori da tre committenti, dovrà sapere mensilmente quanti dei propri dipendenti avranno lavorato per ogni singolo committente e per quanto tempo, frazionare di conseguenza la trattenuta mensile a carico dei dipendenti in questione, elaborando modelli di pagamento (F24) distinti.
Il secondo riguarda l’appaltatore (o sub-appaltatore) che dovrà dimostrare di aver pagato IRPEF e Addizionali ai propri lavoratori dipendenti, impiegati presso i diversi committenti, senza poter utilizzare in compensazione i crediti che egli avesse verso l’Erario. In pratica dovrà pagare l’Erario nei confronti del quale egli è creditore, concedendogli di fatto di rimandare ulteriormente il pagamento del suo, di debito.
Tutto ciò genera costi in capo all’appaltatore o sub-appaltatore, necessitando di programmi specifici e rilevazioni dispendiosi per adempiere, a spese proprie, ad una attività ispettiva che non gli compete.
Armiamoci e partite: lavorare per il Fisco.
E’ come dire che, una volta di più, il Fisco ha aperto un nuovo fronte della lotta all’evasione, ma con il lavoro degli altri.
Poiché, infatti, l’amministrazione finanziaria non riesce a contrastare efficacemente in questo ambito le diffuse infedeltà fiscali, viene scaricata per legge sulle imprese la necessità di effettuare una serie di controlli non solo esorbitanti, ma anche del tutto estranei alla loro funzione istituzionale economico-imprenditoriale.
È con il lavoro dell’imprenditore che il Fisco conduce la propria lotta all’evasione, in questa perenne – sedicente - crociata contro l’evasione fiscale.
“Se si utilizzassero meglio e più tempestivamente tutte le (ormai anche pletoriche) banche dati digitali di cui il Fisco dispone e se si lasciassero gli imprenditori a fare solo impresa con serenità, forse ne gioverebbe economicamente il sistema Paese molto di più di quanto sarà recuperato imponendo una serie di problematici adempimenti su tutti i committenti, compresi quelli onesti che, purtroppo, il legislatore tributario accomuna troppo spesso a quelli fraudolenti.” [Fonte: Antonio Zappi, Ipsoa Quotidiano, 30 Dicembre 2019].
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