Bilancio di esercizio 2022: come valutare il magazzino
Fine esercizio 2022: la redazione del Bilancio di Esercizio è prossima
Un tema ricorrente in questo caso è come procedere nella valutazione delle giacenze di magazzino e dei lavori in corso.
Mi propongo di offrire alcune indicazioni operative per affrontare quello che è uno dei problemi maggiori per le imprese nella redazione del proprio bilancio. Un po’ di informazione, quindi, e non la pretesa di fare formazione su un tema così delicato e dal forte impatto civile e fiscale.
Una trattazione volutamente non approfondita per consentire la percezione della questione che dovrà essere analizzata con i professionisti incaricati della redazione del bilancio o del controllo della gestione.
Correlazione tra costi e ricavi e competenza economica
Uno dei principi fondamentali che devono essere rispettati per la corretta redazione del bilancio è quello di “correlazione tra i costi e i ricavi”.
I ricavi si generano perché ci sono dei costi a monte.
Analogamente, se si sostengono dei costi, questi devono trovare la propria ragion d’essere nei ricavi che contribuiscono a generare.
Questo principio non incontrerebbe alcun problema applicativo se il bilancio fosse unico, ovvero comprendesse il periodo che va dal primo giorno di vita dell’impresa fino a quello del suo scioglimento.
Necessità di ordine pratico, prima ancora che fiscale o giuridico, impongono tuttavia che la vita dell’impresa sia frammentata in periodi intermedi, ad ognuno dei quali corrisponde una rilevazione di sintesi patrimoniale ed economica.
Si parla allora di bilanci intermedi dei quali quello riferito all’esercizio annuale, è il più noto.
I bilanci intermedi
Ma i bilanci riguardano anche periodi mensili, trimestrali, semestrali… a seconda delle necessità di controllo della gestione.
Ogni volta che si “spezza” la vita unica dell’impresa in periodi intermedi, si pone il problema di individuare a quale periodo attribuire i componenti postivi e negativi di reddito che sono “a cavallo” tra un periodo e l’altro.
Possono infatti essere stati sostenuti dei costi nel periodo precedente per generare i correlati ricavi in quello successivo e viceversa.
Potrebbero esservi componenti negativi e positivi di reddito che sono trasversali da un periodo all’altro o in grado di abbracciare una molteplicità di periodi passati o futuri.
La tecnica ragionieristica risolve queste problematiche consentendo di rispettare quello che è un altro dei principi fondamentali i che devono essere osservati per la corretta redazione del bilancio (di periodo), ossia quello della “Competenza Economica”.
I componenti positivi e negativi di reddito, devono essere attribuiti al/ai periodi di maturazione economica indipendentemente da quando quegli stessi componenti generanno i correlati flussi finanziari in uscita o in entrata.
Perché rilevare il valore del magazzino è così importante?
Perché il valore attribuito alle giacenze di merci e ai lavori in corso consente di identificare quanto consumato per generare i ricavi e quindi il corretto utile di periodo.
Si dice infatti che «non so cosa guadagno se non so cosa consumo».
La valorizzazione delle giacenze di magazzino al termine, e dei lavori a cavallo del periodo di riferimento (annuale, trimestrale, quadrimestrale ecc.) rappresenta il tema forse più importante parlando di competenza economica e correlazione dei costi con i ricavi.
Parlando delle giacenze di merci e semilavorati bisogna fare riferimento al “consumato”.
Si può ipotizzare una situazione di scuola nella quale l’unica attività dell’impresa consista nell’acquistare un determinato bene per rivenderlo.
Se in un anno, periodo di riferimento assunto per il bilancio, essa comperasse 100 pezzi di quel bene ad un costo unitario di 10, contabilizzerebbe acquisti per 1000.
Supponiamo che l’inventariazione fisica fatta a fine anno rilevasse che di quei cento pezzi acquistati ne fossero rimasti in magazzino 30 per un controvalore di 300.
Quanto realmente consumato per alimentare le vendite è ciò che si è acquistato al netto di quanto rimasto.
Per generare, con la vendita di quel certo bene, 1000 di ricavi regolarmente contabilizzati, si sarà allora consumato 700 realizzando un margine netto di 300.
Ma tra i costi si è contabilizzato 1000!
Come si fa a riallineare l’acquistato per 1000, appunto, con il consumato per 700?
Rilevando le rimanenze finali con una registrazione contabile che andrà a contrapporre ai componenti negativi per 1000 componenti postivi per 300 che è ciò che non si è consumato e che è rimasto a magazzino per essere utilizzato in futuro.
Il bilancio rimarrà quindi inciso per la differenza di 700 che è il controvalore di quanto consumato che, contrapposto a 1000 di ricavato, esprimerà un utile di bilancio di 300.
Giacenze di fine periodo: una distinzione fondamentale
In maniera molto sintetica si possono distinguere le giacenze di fine esercizio in due grandi categorie:
- Fisiche
- Non fisiche
Le giacenze “fisiche” di fine periodo
Parlando di giacenze fisiche, una ulteriore classificazione può essere tra:
1) merci e materie prime
2) semilavorati
1) Merci e materie prime
Si tratta, in estrema sintesi, di quei beni che vengono acquistati e immessi nel ciclo di produzione e vendita così come sono, ovvero senza che su di essi venga effettuato alcun intervento.
Potrebbe essere il cemento, la sabbia, il tondino di ferro, la viteria in generale, cerniere, maniglie, serrature, lastre e profilati di metallo, lastre di vetro, componenti elettrici ed elettronici, mobili, complementi di arredo, beni alimentari, imballaggi, rotoli di carta, plastica, alluminio…
L’elenco potrebbe essere infinito, ma il comun denominatore è che sono la base fondamentale per la fabbricazione e produzione di altri beni per mezzo di processi e lavorazioni che li trasformano per ottenere il prodotto finale.
La loro valorizzazione a fine periodo passa per la fase preliminare della “conta”.
I pezzi, i metri lineari, i metri quadri, le tonnellate… vanno contate.
Solo dopo aver contato i beni, ciascuno secondo la propria unità di misura, sarà possibile assegnare loro il valore unitario e, con esso, quello complessivo.
Per procedere nella conta con precisione e speditezza il magazzino dovrebbe essere ordinato in modo che i vari beni fossero concentrati in zone precise e tutti a portata di mano.
La realtà è ben diversa perché molto spesso i beni sono sparsi per il capannone o sono in lavorazione e quindi stanno “girando” sulle macchine operatrici.
Senza contare quelli che sono presso terzi per subire lavorazioni esternalizzate, o in conto vendita presso i clienti, o quelli distribuiti in vari depositi anche distanti tra di loro, gli sfridi.
Le situazioni sono le più diverse e tutte concorrono a rendere la conta estremamente complessa, non quanto, però, la valorizzazione di ciò che si è contato.
Se il prezzo di acquisto dei beni fosse sempre lo stesso per tutto il periodo di riferimento, non ci sarebbero problemi.
Si tratterebbe unicamente di moltiplicare i pezzi risultanti dalla “conta” per quell’ unico prezzo.
Ma così non è perché i prezzi variano di fornitura in fornitura e, oggi, ancora di più che in passato.
Questo perché i prezzi dei beni e delle materie prime, in generale, sono aumentati e poi discesi parzialmente nel corso dell’anno, per non parlare dell’inflazione che ha l’effetto di “gonfiare” i prezzi in maniera rilevante.
Molto spesso le imprese “scoprono” che se anche la “conta” rileva un numero di pezzi inferiore a quanto “contato” nel periodo precedente, il loro valore complessivo è certamente variato e generalmente aumentato.
Per tener conto di tali variazioni applicate alle singole partite acquistate bisognerebbe disporre di una esatta contabilità di magazzino.
Le imprese che, per scelta o per obbligo, se ne avvalgono, registrano le singole partite in entrata valorizzandole al prezzo di acquisto e, via via che le utilizzano, le scaricano non attingendo a caso ma per ordine di arrivo.
Normalmente le prime ad essere entrate sono anche le prime ad essere scaricate.
Questa procedura trova nell’ acronimo LIFO (last in first out) il proprio riferimento.
Se si scaricassero le partite partendo dalle prime caricate (LIFO), quelle rimaste a fine esercizio sarebbero le ultime arrivate e la loro valorizzazione avverrebbe ai prezzi più recenti.
Il contrario accadrebbe se si scaricassero le partendo dalle ultime.
In questo caso, infatti, il magazzino sarebbe composto da partite “più vecchie” verosimilmente acquistate a prezzi inferiori.
La tenuta della contabilità di magazzino è complessa e impattante in maniera significativa nella gestione aziendale.
Certamente sarebbe utilissima ai fini del controllo, ma è normale che chi non ne abbia l’obbligo per legge (oppure necessità particolari) non si sovraccarichi in questo senso sul piano amministrativo.
La “conta” va tuttavia fatta sempre e comunque.
È necessario che le imprese si mettano in condizione di farla al meglio, perché nel processo di quantificazione e valorizzazione delle giacenze essa è il punto di partenza irrinunciabile.
La “conta” implica che si sia operata un divisione per tipologia di beni.
Non consentirebbe infatti alcuna valorizzazione degna di questo nome una conta di un tutto indifferenziato che si esprimesse in un semplice numero complessivo. Tipologia per tipologia sarà quindi possibile assegnare all’inventariato un prezzo medio di acquisto, desunto dalle fatture, giungendo per questa via a una valorizzazione tutto sommato accettabile.
2) Semilavorati
Parlando dei semilavorati, può essere utile una suddivisione preliminare:
i semilavorati che vengono acquistati come tali;
i semilavorati che diventano tali per lavorazioni fatte internamente all’azienda.
Nel primo caso vale tutto quello che si è detto parlando di materie prime visto che cambia il loro status iniziale ma non la loro natura ne destinazione d’uso.
Nel secondo caso è evidente come per la loro valorizzazione, una volta fattane la “conta”, sarà necessario sommare al costo del materiale “vergine “quello delle lavorazioni da esso subite in azienda per giungere al suo stato di semilavorato.
Una procedura di calcolo spesso estremamente complessa che, per le imprese non soggette alla tenuta della contabilità di magazzino, può essere semplificata limitandosi a considerare, in aggiunta al valore del prodotto “vergine”, unicamente i costi del personale direttamente impiegato nelle lavorazioni interne, il materiale aggiuntivo e le lavorazioni esterne necessarie per portare il bene nella condizione di semilavorato.
Le giacenze “non fisiche” di fine periodo
Le giacenze “non fisiche” di fine periodo sono normalmente rappresentate dai cosiddetti “lavori in corso”.
Secondo la definizione data dall’OIC 23 «Un lavoro in corso su ordinazione (o commessa) si riferisce a un contratto, di durata normalmente ultrannuale, per la realizzazione di un bene (o una combinazione di beni) o per la fornitura di beni o servizi non di serie che insieme formino un unico progetto.».
La valorizzazione dei lavori a cavallo del periodo (i lavori in corso) è una delle operazioni più complesse nella redazione del bilancio.
Si pensi a una commessa che, alla data di riferimento del bilancio, sia ancora in corso di esecuzione.
Quanto di questa commessa partecipa, in termini di costi e di ricavi, al bilancio redatto alla data di riferimento?
Per la valorizzazione dei lavori in corso su ordinazione di durata ultrannuale si utilizzano normalmente due criteri tra loro alternativi:
I. il criterio della commessa completata;
II. il criterio della percentuale di completamento.
I. Il criterio di valutazione “della commessa completata”
Il criterio “della commessa completata”, ispirato al postulato della prudenza, impone di valutare il lavoro in corso su ordinazione solo sulla base dei costi ed oneri sostenuti, senza basarsi sul ricavo pattuito contrattualmente.
Se quindi si prevedesse, per una commessa di durata triennale (ad esempio per costruire una casa), un corrispettivo totale per € 120.000 e costi totali per € 30.000 annui (totale € 30.000 x tre anni = € 90.000), allora il valore dei lavori in corso del primo anno sarà €. 30.000, € 60.000 (30.000+30.000) di quelli del secondo ed €. 90.000 (30.000+30.000+30.000) di quelli complessivi nel terzo anno.
In quello stesso anno (il terzo e ultimo) si procederà nella consegna della casa ultimata incassando il corrispettivo di € 120.000 (si potrebbe avere in precedenza incassato degli acconti che in quanto tali non impattano però nel conto economico).
I lavori in corso saranno in quel momento azzerati, perché la prestazione è ultimata, generando solo in quel momento a carico del bilancio un componente negativo di reddito che, contrapposto ai ricavi, fisserà il guadagno derivato dalla vendita della casa in € 30.000.
È importante notare come, con il criterio di valutazione “della commessa completata”, l’utile rinvenibile dall’operazione emergerà solamente al momento dell’ultimazione della commessa, cioè nell’esercizio in cui saranno consegnate le opere o ultimati i servizi, non venendo quindi spalmato su quelli intermedi compresi tra l’inizio e la conclusione della prestazione.
II. Il criterio di valutazione “percentuale di completamento”
Il criterio “della percentuale di completamento” (o di avanzamento) valorizza invece i lavori in corso in base alla quota di ricavo maturata in ciascun esercizio compreso tra l’inizio e la conclusione della prestazione.
Per poter procedere devono essere disponibili:
l’esatta stima dei ricavi derivanti dalla commessa, normalmente desumibili dal contratto di appalto;
l’esatta previsione dei costi di commessa distinti nelle diverse fasi nelle quali essa è articolata (fondamenta, copertura, primo piano, secondo, impianti…);
la stima del grado di avanzamento dei lavori (normalmente facendo un rapporto tra costi sostenuti e costi preventivati).
Con i dati dell’esempio di cui sopra, gli €. 90.000 di costi complessivi, previsti di pari importo in ogni anno del triennio (30.000 x 3anni), andranno rapportati con i ricavi complessivi (nel primo anno = 30.000/90.000*120.000 = 40.000, e altrettanto nel secondo e terzo anno).
€. 40.000 sarà allora il valore dei lavori in corso del primo anno, €. 80.000 (40.000+40.000) di quelli del secondo ed €. 120.000,00 (40.000+40.000+40.000) di quelli complessivi nel terzo anno.
Nel terzo anno si procederà alla consegna della casa ultimata, incassando il corrispettivo di €. 120.000 (si potrebbe avere in precedenza incassato degli acconti che in quanto tali non impattano però nel conto economico).
I lavori in corso per €. 120.000 saranno azzerati perché la prestazione è ultimata, rilevando per questa via un componente negativo di reddito esattamente pari al ricavo realizzato per un margine di zero.
Questo perché l'imputazione dell'utile sulla commessa è avvenuto pro quota ogni anno (€. 10.000 all’anno come differenza tra i costi annui per 30.000 e la valorizzazione dei lavori in corso per 40.000) e non in un’unica soluzione alla consegna del bene o servizio.
Il metodo “della percentuale di completamento” è utilizzabile quando i dati disponibili sono sicuri, altrimenti si dovrà ricorrere a quello della “commessa completata”.
Diversamente, il criterio “della commessa completa” è quello da utilizzare quando la commessa, pur a cavallo dell’esercizio, abbia una durata complessiva inferiore a un anno.
Quest’ultima è un’ipotesi frequentissima, specie nelle imprese più piccole, circostanza questa dalla quale deriva come il criterio “della commessa completa” sia il più diffuso.
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