Amarcord: un anno di Covid in Italia e nel mondo


Il Covid e l’autostrada per la pandemia

Il COVID è un virus e la sua diffusione ha generato una pandemia.
Questo, tra i tanti motivi che spiegano perché la sua crescita non è lineare ma esponenziale.
Vuol dire che il Coronavirus si muove in un’autostrada che ha solo caselli di entrata e, dopo ogni casello, dieci corsie che vanno in tutte le direzioni; lui si moltiplica per dieci andando ad occupare ogni corsia.
Il casello dell’esempio è la persona infetta e le corsie sono i canali di diffusione.
Già all’entrata del primo casello si è moltiplicato 10 volte, ma quando ognuno dei dieci troverà un altro casello, ovvero un nuovo soggetto da contagiare, potrà ripartire avendo davanti a sé altre dieci corsie da occupare, che andranno in direzioni ancora diverse e lui, esattamente come prima, sarà in grado di moltiplicarsi per dieci, occupando le nuove corsie e procedendo verso destinazioni sempre nuove e ancora diverse.
 
In questo processo di diffusione lui è tanto veloce, quanto noi umani siamo lenti nel comprenderne il comportamento, la velocità di diffusione esponenziale, nello studiarne la natura e, con essa, le difese di cui il nostro organismo necessita.
 

Covid: facciamo parlare i numeri

Siamo infatti per natura ancora inermi nei confronti del virus, dobbiamo corazzarci per spuntare le armi di cui lui, a differenza di noi, è ben dotato.
Sono i numeri a parlare.
Alla data del 2 Gennaio 2021, i casi totali in Italia erano 2,14 Mln con quasi 75.000 decessi.
Nel mondo, 84,5 Mln di casi e 1,84 Mln di decessi.
Si tratta certamente di dati sottostimati, perché nessuno stato vuole arrivare primo in questa particolare classifica, senza contare gli stati totalitari, quelli che sono in grado di filtrare le informazioni a proprio piacimento.
I dati provenienti da questi ultimi sono privi di alcun fondamento in quanto alterati e condizionati da logiche di regime.
 

Servono idee chiare. Proprio quello che ci manca

Bisogna avere idee chiare, ma mancano.
È comprensibile che, di fronte a un virus sconosciuto e con un grado di diffusione pandemica del tutto imprevedibile, tutti gli stati si siano trovati in difficoltà.
Inizialmente, infatti, si procedeva in ordine sparso, nel mondo come in Europa e in Italia.
Pensiamo agli Stati Uniti dove la convinzione di Trump di essere personalmente più forte del virus, (grazie a un “ego” smisurato, che lo vede oggi, una volta di più, coprirsi di ridicolo nell’ostinato rifiuto di ammettere una sconfitta elettorale di portata epocale), ha ostacolato iniziative che hanno portato gli Stati Uniti a diventare il paese con il maggior tasso pandemico: 20 milioni e mezzo di contagiati e trecentocinquantamila morti, oppure alla Gran Bretagna, che ha tentennato fino all’ultimo, per trovarsi ora ai primissimi posti in Europa.
Pensiamo all’ Italia che ha avviato per prima iniziative e assunto provvedimenti, (non certo per lungimiranza, ma solamente perché fu la prima in Europa a essere colpita dal virus), che hanno segnato delle strade che gli altri paesi Europei hanno poi potuto seguire concretamente, ma che per noi sono rimaste lastricate solo di buoni propositi.
 

Meglio fare bene, che fare in fretta

Per combattere la pandemia bisogna fare in fretta e bene, perché lei c’è e continua a esserci, malgrado tutti gli sforzi fatti per debellarla.
È più importante fare bene che fare in fretta e questo ce lo dimostra l’andamento della pandemia che non perdona nulla, ma si rinvigorisce ogni volta che noi umani commettiamo qualche azione sbagliata.
A fare cose sbagliate siamo tutti bravissimi, noi Italiani per primi.
Basta ricordare, in occasione della prima ondata primaverile del contagio, la pervicacia di tantissime persone (che ahimè non sono sparite del tutto e rappresentano una pandemia nella pandemia) che si ostinavano a non considerarla per quella che era, cioè una tragedia; per non parlare della mancanza delle mascherine, il loro acquisto al mercato nero, la riconversione di tantissime imprese nella produzione di dispositivi DPI, sperando in un business costruito sulla malattia di tutti (meno male che un bel po’ di questi imprenditori della mala-sanità sono spariti dalla scena economica, letteralmente soppressi da un mercato mondiale, che ha rapidissimamente allineato domanda ed offerta); per concludere con i provvedimenti di Conte, annunciati in piena notte, incomprensibili e contraddittori, i lockdown imbastiti all’ ultimo minuto senza alcuna analisi preventiva di fattibilità, buttati lì per poi essere sistematicamente violati.
 
Sole d’agosto, Covid mio non ti conosco
Poi è arrivata l’estate ed il bisogno di fare vacanza, di divertirsi, di fare feste, di ballare, di mangiare.
Per il Governo si è manifestata la necessità di accontentare ogni genere di categoria economica, anche quelle che raccontavano spudoratamente fake news di ogni sorta sulla loro capacità di garantire norme di sicurezza e distanziamento sociale sulle spiagge, nelle discoteche, nei ristoranti, mentre bastava recarsi nelle zone di vacanza per capire benissimo che tali luoghi e ambienti erano e sono strutturalmente inadeguati a qualsiasi forma di distanziamento sociale e protezione sanitaria.
 
Senza contare l’assoluta mancanza di controlli, che posso comprendere benissimo.
Cosa mai avrebbe potuto fare un vigile municipale, ma anche un carabiniere o un poliziotto, di fronte a una schiera urlante e minacciosa di vacanzieri in mutande che neppure sapeva cosa fosse il Covid al punto da chiamarlo “Coviddi”?
Sono stati lasciati soli, loro come il personale sanitario e come tutti coloro che avevano capito, (e non era difficile farlo), che il divertimento di pochi (assolutamente non pochi in verità) avrebbe causato la sofferenza e la morte di moltissimi.
Il virus ha presentato immediatamente, il conto tornando a prendersi tutti gli spazi che le misure di contenimento gli avevano sottratto.
 

Covid: abbiamo imparato qualcosa?

E siamo a oggi.
È cambiato qualche cosa?
Siamo riusciti a creare barriere protettive?
Abbiamo compreso la gravità della situazione assumendo atteggiamenti diversi?
 
Il Covid ci aveva offerto una chance, ritirandosi per qualche mese. Qualche mese che noi avremmo dovuto impiegare per creare barricate, fortificazioni, per armarci, per imparare a difenderci.
In Italia non è avvenuto nulla di tutto questo, e non ci sono giustificazioni.
Siamo ripartiti come se il Covid fosse qualche cosa che stava sparendo all’orizzonte e non abbiamo fatto nulla.
Nessun intervento per migliorare la viabilità, pur sapendo che la ripresa delle attività e la riapertura delle scuole avrebbero di nuovo saturato strade, treni, tram e autobus.
Abbiamo speso soldi pubblici per applicare adesivi nei treni per distinguere dove potersi sedere e dove no.
Non abbiamo rafforzato la struttura sanitaria.
Abbiamo concesso alle Regioni di imporsi sulle scelte del governo solo perché le elezioni regionali dovevano comunque garantire i ritorni elettorali attesi.
Non abbiamo individuato i settori chiave della nostra economia sui quali veicolare le risorse che, per essere invece state distribuite a pioggia, sono state subito assorbite da un sistema economico già arido da anni e che è rimasto tale anche dopo.
Abbiamo danneggiato categorie intere, in primis i ristoratori, che hanno investito risorse ed energie per attrezzare i propri locali secondo le indicazioni sanitarie e questo perché hanno avuto fiducia in chi diceva loro che in questa maniera avrebbero potuto continuare nel loro lavoro.
Soprattutto, non vi è stata unità nei nostri governanti nel considerare il Covid per quello che è.
Nessuna rinuncia a uno stato di “battaglia politica permanente”, a una contrapposizione costante, fino ad arrivare a una quasi certa Crisi di Governo, voluta da tutti coloro che temono di rimanere esclusi dalla mega spartizione di soldi del Recovery Fund.
 

Il Covid e chi ci governa

Sarà la Crisi di governo annunciata che ci farà perdere questo vero tesoro che la Comunità Europea vuole metterci a disposizione ma che noi facciamo di tutto per non farci riconoscere.
Il Recovery Plan è in ritardo, non si sa quando sarà pronto e nelle more attuali di una crisi di governo, probabilmente mai.
È, per ora, niente di più della bozza della Legge di Bilancio quando, per la prima volta, viene scritta su un tovagliolino di carta, come accade ogni anno.
Ma se non sappiamo varare una legge di bilancio che non sia un’accozzaglia inguardabile di norme buttate a casaccio in logica elettorale, (non a caso si parla solo ora di crisi di governo), come pensiamo di poter dare un’immagine seria del nostro paese a chi sarebbe disposto a darci parte dei soldi, che sono di tutti gli stati dell’Unione?
 

Unione europea: le legittime richieste di garanzia

Come una banca chiede, a chi le si rivolge per avere un finanziamento, la solidità e la prospettiva di continuazione aziendale futura, a cosa serva la somma richiesta, i dettagli dell’impiego che se ne farà, i benefici attesi, la garanzia del rimborso assicurata, non dalla contrazione di altri debiti, ma con il valore aggiunto generato dagli investimenti virtuosi che quel denaro potrà consentire, così fa l’Unione europea nei confronti dell’Italia.
La UE non è cattiva nei nostri confronti chiedendoci questo.
È composta da persone normali, preoccupate e allibite di quanto noi si sia sprovveduti e di come si possa aver dato fiducia, col voto, a un governo di incapaci.
 
Il nostro maggior problema? La settimana bianca
Ed ecco che invece noi siamo qui a porci il problema delle vacanze sciistiche.
Non del Covid, della crescita della curva epidemiologica, dei morti, di chi soffre, bensì delle vacanze, ora esattamente come l’estate trascorsa.
 
Proprio oggi il Papa ha manifestato il proprio dolore nel prendere atto di come il bene comune sia una cosa, per noi Italiani, semplicemente inesistente.
Ha fatto preciso riferimento alle categorie di soggetti, che vogliono divertirsi sciando, ai quali non interessa che il loro divertimento, l’affollamento di piste, cabinovie, ristoranti e baite possa riprodurre la situazione di settembre, purtroppo in maniera molto più grave perché il virus è cambiato e ora ha un tasso di trasmissibilità molto più elevato.
 

Mors tua vita mea e chissenefrega

Il principio è sempre quello, io devo divertirmi e se questo fa morire qualcuno “e chi se ne importa”.
“E chi se ne importa” dice l’Assessore lombardo Giulio Gallera quando, alla domanda come mai la vaccinazione Anticovid in Lombardia sia praticamente a zero, risponde “Nei giorni delle feste parte del personale ha goduto di un sacrosanto riposo, visto che dal mese di febbraio, come in nessun’altra regione italiana, sono sotto pressione per la violenza con cui il virus ha colpito il nostro territorio".
Non si tratta di una risposta accettabile, ma arrogante e irrispettosa nei confronti di tutte le altre regioni Italiane, dove la vaccinazione è iniziata sul serio.
Lì il personale medico non era stanco?
La particolare intensità con la quale il virus ha colpito la Lombardia è figlia, certamente, di situazioni ambientali e sociali particolari, ma anche e soprattutto dei comportamenti e delle strategie demenziali sostenute dallo stesso Gallera, dal governo della regione e dall’amministrazione della città di Milano, mai collaborativa, ma sempre con un atteggiamento vittimistico, come se l’Italia intera ce l’avesse con la Lombardia, mettendo in discussione il suo primato di locomotiva del sistema economico e sociale del Paese.
 
A parte questo, la fatica del personale medico in Lombardia dipende dalla natura delle strutture sanitarie, in grandissima misura private, in ragione di scelte politiche precise fatte negli anni passati.
Un sistema sanitario, quello lombardo, che è naufragato, affondato da una emergenza per il quale non era preparato e alla quale il solo sistema pubblico, impoverito come non mai, non ha resistito.
 

I “chi se ne importa” non finiscono qui

Chi se ne importa, rispondono tutti coloro che hanno invaso, non solo a Milano e in Lombardia, ma in tutta Italia, le “vie dello shopping” negli ultimi giorni prima di Natale, creando assembramenti di ogni tipo, favorendo la diffusione di un virus diventato super infettivo, al punto che già i dati di oggi parlano di una curva epidemiologica ancora in crescita.
 
Chi se ne importa, hanno detto tutti quelli che hanno preso d’assalto treni e aerei per spostarsi da una regione all’altra prima del blocco natalizio, distribuendo il virus con un gesto ampio, come quello del contadino quando semina il grano.
E pensare che tra di loro c’erano un bel numero di insegnanti che tornavano nelle loro abitazioni a sud, lasciando vacanti le proprie cattedre, bloccando quindi anche l’istruzione in Smart Working.
 
Chi se ne importa, dice il 40% della popolazione Italiana, che già si manifesta contraria al vaccino, dimenticandosi che se non si arrivasse all’80% della popolazione vaccinata sarebbe stato tutto inutile.
 

Il vaccino, panacea di tutti i Covid, tra sanità e politica

Pfizer dice ora di non essere in grado di soddisfare la domanda.
Non lo sapeva prima?
Bisogna che altri vaccini vengano autorizzati per aumentare l’offerta.
Ma la Commissione europea deputata alla validazione del farmaco come lavora?
Se dice che terminerà la fase di test l’11 Gennaio 2021, come può, sotto le pressioni dei governanti, anticipare di una settimana la propria decisione?
Penso che questi scienziati lavorino, di giorno e di notte, consapevoli che una settimana, prima o dopo, faccia una differenza enorme.
Se dicono il giorno 11 Gennaio è perché determinati test daranno il loro esito per allora.
Anticipare vuol dire non farli, avere un prodotto meno affidabile, una dose di rischio maggiore (non è che il vaccino Pfizer sia esente da controindicazioni specie di natura allergica).
Trump, Boris Johnson, l’ungherese Viktor Orbán e il suo compare polacco Mateusz Morawiecki, Putin, hanno spinto sull’acceleratore delle validazioni, solo per poter dire “se sei fuori dell’Europa è meglio”.
Per loro il tornaconto politico è essenziale: sono leader di stati totalitari.
Il bene comune non hanno mai saputo cosa fosse o a cosa servisse.
 

Il malaffare e il teatrino delle vaccinazioni a scopo propagandistico

E infine la madre di tutte le domande: quando saremo vaccinati?
Le incognite sono tantissime, dai problemi di produzione, a quelli di distribuzione.
Siamo legati a un filo, un qualunque evento di qualsiasi natura può bloccare la distribuzione e, con essa, la vaccinazione.
Senza contare che il Vaccino Pfizer va inoculato due volte e quindi il rischio è doppio.
 
Inoltre si faranno sentire il malaffare, la forza delle cosche, delle sette e delle mafie, che non perderanno un istante a operare per mettersi alla testa di un sistema di distribuzione parallelo, che probabilmente funzionerà molto meglio di quello ufficiale.
Già ora è possibile, nel Deep Web, comperare dosi di vaccino che ti vengono recapitate a casa, come avessi fatto un acquisto su un qualsiasi portale e-commerce.
Come possiamo pensare che proprio da noi, in Italia, il paese della corruzione per antonomasia, il concetto di bene comune diventi appannaggio di chi non ne ha mai voluto sentir parlare al punto di assicurare, per la prima volta nella storia italiana, che un processo di per sé imponente, la campagna di vaccinazione della popolazione italiana, possa svolgersi nel rispetto di regole chiare e trasparenti, senza che nessuno salti la coda, nel totale spregio delle esigenze di tutti?
 
Io di dubbi ne avrei moltissimi specie dopo aver visto il Governatore della Campania Vincenzo De Luca, vaccinarsi in diretta, saltando non una ma dieci file.
Si è preso il vaccino togliendolo ad uno che lo avrebbe dovuto avere ben prima di lui, solo per farsi un filmatino pubblicitario.
E poi avanti, con la fake new della necessità di dare l’esempio, l’unico esempio che, temo, l’Italia dei furbetti potrà mai dare.

 
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© Questo articolo, a firma di Attilio Sartori, è apparso per la prima volta sul Blog LA MOSSA GIUSTA.
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