Numerose le novità del Ddl collegato lavoro divenuto Legge qualche settimana fa.
I trentaquattro articoli che lo compongono introducono diverse innovazioni, finalizzate essenzialmente alla semplificazione e a una migliore regolazione di alcuni importanti profili riguardanti il rapporto di lavoro, come quelli:
Non ci si può nascondere però che le norme non sono di facile lettura e interpretazione, necessitando spesso di chiarimenti non ancora pervenuti.
Ecco alcune norme particolarmente interessanti.
È stata introdotta una nuova forma di dimissioni rispetto a quelle già conosciute in precedenza, quali le dimissioni con procedura telematica e/o con sottoscrizione dell’atto relativo in sede protetta.
La nuova ipotesi risolutiva si ricollega alle assenze ingiustificate, superiori ad un certo periodo espressamente previsto dal contratto collettivo applicato, che configurano la possibilità del licenziamento disciplinare.
Fino ad ora, infatti, in caso di assenze ingiustificate, il rapporto di lavoro si concludeva al termine del procedimento disciplinare nei confronti del lavoratore assente con il licenziamento per giusta causa e contestuale obbligo, per il datore di lavoro, di pagare il cosiddetto ticket licenziamento.
Spesso, l’assenza ingiustificata del dipendente aveva l’unico obiettivo di essere licenziato per ottenere la Naspi (indennità legata alla disoccupazione involontaria) che era automaticamente concessa solamente per il fatto di essere stati licenziati disciplinarmente a prescindere dal motivo.
Con la nuova normativa, le assenze ingiustificate superiori ai periodi previsti, potranno essere considerate dimissioni per fatti concludenti dal datore di lavoro, il quale dovrà darne comunicazione all’Ispettorato del lavoro.
A sua volta, l’Ispettorato del lavoro, ricevuta la comunicazione del datore di lavoro potrà verificare (anche se non è necessariamente obbligato) la fondatezza di quanto dichiarato dal datore di lavoro.
Nel caso che il contratto collettivo non preveda la misura del licenziamento per le assenze ingiustificate, si potrà fare riferimento alla nuova legge, che prevede la risoluzione per fatti concludenti per assenze ingiustificate superiori ai 15 giorni.
Il lavoratore potrà comunque contestare tale circostanza, rilevando come la sua assenza sia imputabile a cause di forza maggiore oppure ad un fatto imputabile al datore di lavoro.
La legge tace su termini e modi di contestazione da parte del lavoratore, per cui non sembra vi sia una decadenza da impedire come nei licenziamenti (60 giorni dal licenziamento), ma solo una prescrizione da interrompere.
Molte le perplessità che nascono dalla nuova norma, che mette insieme le regole dei contratti collettivi riguardanti l’accertamento della gravità della colpa necessario per l’applicazione estrema del licenziamento disciplinare e la nuova fattispecie di volontà di cessazione del rapporto per fatti concludenti in caso di assenza di previsioni contrattuali.
È auspicabile, inoltre, un chiarimento ministeriale sulle modalità di intervento dell’Ispettorato del lavoro, oltre che sulla possibilità (in tempi molto dilatati) per il lavoratore, di contestare comunque che la sua assenza non poteva ritenersi manifestazione di dimissioni.
Entrambe le questioni, infatti, possono rendere incerta la posizione del datore di lavoro che volesse applicare la nuova norma.
A corollario della volontà di eliminare gli utilizzi distorti delle norme a favore dei dipendenti, segnaliamo anche che con l’approvazione della Legge di bilancio 2025, è stata introdotta una notevole restrizione alla possibilità di accedere alla Naspi, ovvero all’indennità prevista per il lavoratore che rimane involontariamente privo del posto di lavoro.
Questa la nuova norma:
nel caso in cui il lavoratore si dimetta volontariamente da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e nell’arco dei 12 mesi successivi venga assunto da un nuovo datore di lavoro e da questi successivamente licenziato, per poter accedere alla Naspi, il lavoratore stesso dovrà poter vantare almeno 13 settimane di contribuzione relativamente all’ultimo rapporto di lavoro.
Analogamente anche per il caso nel quale il secondo rapporto di lavoro cessi per scadenza del contratto a termine.
La norma fino ad ora esistente stabiliva che:
nel rapporto di lavoro a tempo determinato, il periodo di prova è stabilito in misura proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni da svolgere in relazione alla natura dell'impiego. In caso di rinnovo di un contratto di lavoro per lo svolgimento delle stesse mansioni, il rapporto di lavoro non può essere soggetto ad un nuovo periodo di prova.
La nuova normativa introduce la modalità di determinazione del periodo di prova, ovvero:
fatte salve le disposizioni più favorevoli della contrattazione collettiva, la durata del periodo di prova è stabilita in un giorno di effettiva prestazione per ogni quindici giorni di calendario a partire dalla data di inizio del rapporto di lavoro.
In ogni caso la durata del periodo di prova
Vi sono incongruenze in ordine al calcolo aritmetico del periodo di prova e vuoti normativi per il criterio da applicare per contratti superiori a 12 mesi.
Inoltre, non è di facile interpretazione il rinvio della normativa alle "previsioni più favorevoli della contrattazione collettiva" e l'ambito di riferimento di tale contrattazione collettiva.
Anche qui l’auspicio di chiarimenti da parte del Ministero.
Varie sono le modifiche apportate al testo unico della sicurezza.
Tra queste:
La presente informativa rappresenta una breve sintesi di alcune delle norme in vigore, che sono state oggetto di modifiche normative recenti.
Mancano ancora le indicazioni per rispondere in maniera esaustiva a dubbi e incertezze sull’applicazione dei nuovi obblighi.
Siamo in attesa dei chiarimenti necessari.
Il nostro studio è comunque a disposizione per i possibili approfondimenti.
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